lunedì 24 luglio 2023

Affitti brevi tra boom del turismo e dibattito sulle nuove norme

 


L’estate è nel suo pieno e, piaccia o no, porta valanghe di turisti nel nostro Paese, dopo gli anni di paura per la pandemia da Covid. È inevitabile che in questo contesto si continui a parlare di affitti brevi, essendo questi una delle alternative più gettonate agli alloggi in albergo, e dato anche il recente dibattito innescato dalle nuove norme del Ministero del Turismo per regolamentare il settore. Facciamo il punto della situazione.

Gli affitti brevi trainano l’estate 2023

L’estate 2023 conferma la tendenza positiva registrata nel settore degli short rental nella prima parte dell’anno, che a sua volta ribadisce la ripresa iniziata nel 2022. Lo dicono le rilevazioni di Halldis, operatore italiano sugli affitti brevi dal 1986, che ha analizzato i dati relativi a oltre 1.200 proprietà tra appartamenti, palazzi e ville, in più di 120 località italiane ed europee, dalle principali città alle più belle località di mare, montagna, laghi e campagna.

Secondo questa analisi, il 2023, rispetto al 2022, mostra degli incrementi notevoli, pari al 73% delle prenotazioni e del 70% delle notti occupate. Nel 2022 sia le prenotazioni che le notti occupate hanno superato del 300% quelle del 2021, anno che ha risentito di forti limitazioni negli spostamenti a causa della pandemia.

“Nel corso del 2022 – dichiara Michele Diamantini, ceo Halldis – secondo i dati di Scenari immobiliari, il turismo internazionale globale ha recuperato il 66% dei livelli pre-pandemici: a fine anno il numero dei turisti che hanno viaggiato all’estero è arrivato a 960 milioni, più del doppio del 2021 anche se ancora il 34% in meno rispetto al 2019. L’Europa, la più grande area di destinazione, ha registrato 585 milioni di arrivi raggiungendo quasi l’80% delle condizioni precedenti la pandemia. I nostri dati dimostrano che, nonostante il Covid, la guerra in Ucraina e la congiuntura economica, la gente continua a desiderare di viaggiare e torneremo presto ai livelli del 2019. Gli affitti brevi faranno sempre più la loro parte se avranno un approccio innovativo e i fondi e gli operatori finanziari, focalizzati prevalentemente sul comparto alberghiero, continueranno a spostarsi, come sta avvenendo, anche sugli investimenti residenziali. Si tratta di operazioni lunghe, ma, fra due o tre anni, arriveranno sul mercato prodotti d’alta gamma, professionali e con servizi.”

Quali turisti scelgono l’affitto breve

Secondo i dati di Halldis, gli italiani rappresentano il 31,5% degli arrivi, mentre il resto è diviso tra provenienti da altre nazioni europee, che pesano per oltre il 52%, dall’America del Nord per il 7% e i rimanenti da altri Paesi. In calo i turisti che giungono dall’Asia, dal Sud America, quasi azzerati quelli dalla Russia e dalla Ucraina. Mentre nella prima parte dell’anno, i flussi si sono concentrati sulle grandi città come Roma con il 21% degli arrivi, Milano (12%), Firenze (10%), Venezia (8%), durante l’estate sono le classiche mete di vacanza che pesano con un 30% di tutti gli arrivi, mentre la montagna vale per il 18%, il 12% per i laghi e la campagna, soprattutto Toscana. A cambiare negli anni, non è la durata media della prenotazione, che risulta pari a otto/nove giorni, ma la disponibilità economica. Infatti, se nel 2021 il valore medio di una prenotazione è stato di 976 euro con un costo giornaliero di 121 euro, nel 2022 il primo sale a 1.286 e il secondo a 145 euro, nel 2023 rispettivamente a 1.516 e 180 euro, con un aumento del 24% rispetto al 2022.

Affitti brevi, le nuove regole 2023

Il dibattito sulla nuova normativa sugli affitti brevi, alla luce di tutto questo, non si ferma. Il nodo da sciogliere per quanto riguarda la legge sulle locazioni turistiche pensata dal Ministero guidato da Daniela Santanché è quello del numero di notti minime da trascorrere in affitto breve: pare ci sarà un passo indietro su pressione degli operatori del settore. Cosa che non tutti i player del settore turistico per hanno gradito.

“Il nostro giudizio sulla proposta di legge sulle locazioni brevi non può che rimanere sospeso, in attesa di conoscere il testo che sarà depositato in Parlamento”, sostiene ad esempio Alessandro Nucara, direttore generale di Federalberghi. “Abbiamo registrato positivi avanzamenti sul tema degli standard minimi che gli appartamenti in locazione breve devono possedere, per ragioni di sicurezza e di conformità agli strumenti urbanistici, sui relativi controlli e sull’adeguamento (da quattro a due appartamenti) della soglia oltre la quale l’attività si presume svolta in forma imprenditoriale. Non possiamo invece nascondere il nostro disappunto per il passo indietro che si profila all’orizzonte sul minimum stay, che continuiamo a ritenere un elemento essenziale della riforma.”

“Curioso che il Ministero del Turismo voglia intervenire nella limitazione delle locazioni, un tema regolato da quasi un secolo dal Codice Civile, - commenta d’altro canto il presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa, che ribadisce alcuni punti fermi:

“1. Il Ministro non ha ancora spiegato perché voglia limitare gli affitti brevi, visto che ha pubblicamente smentito le due motivazioni indicate nel disegno di legge predisposto in materia dal suo Ministero: l’esistenza del fenomeno del cosiddetto overtourism e il fatto che gli affitti brevi avrebbero causato lo spopolamento dei centri storici. 2. C'è già una legge – di dubbia costituzionalità – che impone di diventare imprenditore a chi destina alla locazione breve più di 4 case. Legge che comunque non tocca i property manager anche quando gestissero 100 case di 100 proprietari diversi. Davvero si vuole insistere su questa strada palesemente sbagliata? 3. Qualora fosse approvata la bozza del Ministero, anche con le modifiche di cui il Ministro ha parlato con gli albergatori, sarebbero limitate le locazioni brevi ma proseguirebbero indisturbate altre forme di ospitalità in appartamento quali affittacamere, bed and breakfast e case vacanza. Qual è la logica?”.

A questa nota risponde direttamente il Ministero del Turismo. “In riferimento alla nota emessa dal presidente di Confedilizia è opportuno specificare che la proposta di legge in tema di affitti brevi ha come obiettivo quello di regolamentare il fenomeno e non di criminalizzarlo. Il ministro ha infatti specificato: “Sugli affitti brevi un tema c’è: è il far west, perché non c’è una norma precisa, quindi nella nostra proposta, che spero vada presto in Parlamento, c’è innanzitutto il codice unico identificativo (CIN) perché ora ogni Regione ha il proprio codice identificativo e questo crea problemi. Vogliamo, invece, un codice identificativo nazionale, dove sarà facile capire quanti sono i letti a disposizione, perché non possiamo permettere che un turista arrivi in Italia pensando di affittare un appartamento con un certo numero di posti letto, che poi si dimostra non adeguato. Dobbiamo sia tutelare il turista che la proprietà privata, perché per noi quest’ultima è sacra”.

“Gli affitti brevi – afferma Vincenzo Cella, general manager Halldis – si confermano trainanti, oltre che per la prima parte dell’anno, anche per questa estate. In Italia, secondo una nostra elaborazione su dati Istat e Scenari immobiliari, questo settore riguarda circa 600.000 immobili per un valore, a parere dell’Osservatorio Digitale Politecnico Milano, di circa tre miliardi di euro. Il mercato apprezza i property manager (operatori professionali, ndr) come noi, che gestiscono per conto terzi il prodotto casa, pari a circa il 25% del totale di quelle destinate agli affitti brevi, perché garantiscono privacy, qualità dei servizi, gestione innovativa del pricing e operazioni di promozione e marketing del prodotto, oltre che naturalmente un reddito per i proprietari. Ben venga in questo senso la proposta di regolamentazione del settore, che deve essere condivisa e portare vantaggi a tutte le parti in causa.”

mercoledì 19 luglio 2023

Locazione a canone concordato, Confabitare Roma: “Durata e tassazione la rendono un’opzione interessante”


 Il contratto di locazione a canone concordato permette di locare un immobile a uso abitativo per la durata minima di tre anni, prorogabile per altri due. Ma quali sono gli aspetti di questa tipologia contrattuale che destano maggiore interesse? Nel caso si decida di optare per questa formula, cosa è necessario sapere? Cosa, invece, è bene evitare? Per cercare di fare un po’ di chiarezza, idealista/news ha rivolto qualche domanda a Eugenio Romey, presidente di Confabitare Roma, sede provinciale di Confabitare Italia, confederazione di associazioni sindacali della proprietà edilizia distribuite sul territorio nazionale.

Perché la locazione a canone concordato suscita interesse?

“La locazione a canone concordato desta interesse principalmente per due ragioni: una riguarda la possibilità di ridurre la durata minima della locazione e l’altra le agevolazioni fiscali.

In merito alla durata, per il proprietario, il locatore, è interessante sapere di poter rientrare in possesso dell’unità abitativa in tempi più brevi rispetto alla norma. Anziché i classici 4+4, le locazioni a canone concordato offrono diverse tipologie con durate minime inferiori: 3+2 per le esigenze abitative ordinarie; i 31 giorni per i contratti transitori, che arrivano al massimo a 18 mesi; i contratti per studenti, che hanno una durata minima di 6 mesi + 6 mesi e una durata massima di 3 anni + 3 anni. Queste sono le tre tipologie di locazione a canone concordato che si possono stipulare in tutti i Comuni italiani (quelli per studenti si possono stipulare nei Comuni che ospitano le sedi di studio e in quelli confinanti) e che, nel caso in cui il Comune rientri tra quelli 'con carenze di disponibilità abitative', comportano particolari agevolazioni fiscali.

Per quanto riguarda le agevolazioni fiscali, se con il contratto a canone libero (4+4) la tassazione Irpef o Ires è piena e l’Imu non ha alcuna riduzione (optando per la cedolare secca, l’aliquota è al 21%), con il contratto a canone concordato nei Comuni sopra citati la tassazione ordinaria (Irpef o Ires), nonché l’imposta di registro, hanno una riduzione del 30% e l’Imu ha una riduzione del 25% (salve ulteriori riduzioni deliberate dal Comune). In più, optando per la cedolare secca l’aliquota è pari al 10%”.

In Italia dove è possibile stipulare contratti a canone concordato?

“Quelli per esigenze abitative ordinarie si possono stipulare in tutti i Comuni, ma nel nostro Paese le regole del canone concordato vigono a macchia di leopardo e non sono uniformi su tutto il territorio nazionale.

Non è il Comune che stabilisce le regole, bensì è una normativa nazionale, predisposta dall’Autorità statale che ha le competenze sulle politiche abitative, ovvero il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, che stabilisce le regole 'generali', mentre le regole specifiche per il singolo Comune si trovano nei singoli Accordi Territoriali, che però non sono stipulati dal Comune, ma sono stipulati tra le organizzazioni della proprietà edilizia, come la nostra, e le organizzazioni dell’inquilinato. C’è, dunque, un tavolo sul quale si contrappongono questi due interessi, che trovano una sintesi in quello che poi si chiama Accordo Territoriale, il quale viene depositato al Comune e alla Regione.

Il Comune a volte non entra in alcun modo nel confronto, perché non convoca le organizzazioni, che hanno la facoltà prevista dalla legge di autoconvocarsi; quando invece è il Comune a convocare le organizzazioni entra in modo 'concreto' nella contrattazione in linea di massima solo se attribuisce ulteriori agevolazioni, ad esempio sull’Imu, rispetto a quelle previste dalla normativa statale”.

Quali sono le problematiche di questa tipologia contrattuale? 

“Uno degli svantaggi sta nel fatto che nei contratti a canone concordato vige la compressione dell’autonomia negoziale delle parti.

Quindi, mentre nei canoni liberi il contratto si può personalizzare e adattare al singolo caso specifico inserendo qualsiasi tipo di clausola (che ovviamente non sia vietata dalla legge), nei contratti a canone concordato questo non è possibile, perché i testi sono stati studiati in sede di Convenzione nazionale, la quale contiene in allegato i testi contrattuali da utilizzare per le tre diverse tipologie, testi che sono stati recepiti dal Decreto Interministeriale del 16 gennaio 2017.

Nei contratti a canone concordato, quindi, i testi sono già predisposti. Non è possibile inserire nuovi obblighi, nuovi divieti, clausole risolutive espresse e così via. Si tratta di una struttura 'chiusa' al 90 per cento: come statuito dalla Cassazione, lo scostamento dai testi in allegato al Decreto può riguardare soltanto obbligazioni accessorie aspetti marginali delle obbligazioni principali, in modo da non alterare l’assetto degli interessi quale precostituito nel contratto-tipo.

L’altro svantaggio, se così vogliamo chiamarlo, è il calcolo del canone, che deve essere compreso tra un minimo e un massimo entro una fascia di oscillazione da individuare secondo criteri riportati nei singoli accordi territoriali. Questo vuol dire che nei Comuni dove l’accordo territoriale è stato fatto bene e i canoni sono appetibili, l’interesse per questa tipologia di contratto è elevata; dove invece i canoni non risultano convenienti, l’interesse per questa tipologia di contratto è minima.

A tal proposito, possiamo affermare che i due Accordi Territoriali vigenti contemporaneamente a Roma sono stati fatti con criteri di calcolo dei canoni adatti, che li rendono comunque appetibili, di conseguenza abbiamo avuto moltissimi immobili messi sul mercato in locazione a canone concordato, con vantaggi di gettito per l’Erario; in altri Comuni, come ad esempio a Milano, i proprietari non ritengono conveniente locare a canone concordato per via di canoni esageratamente bassi. E’ importante trovare un giusto equilibrio tra il funzionamento dell’accordo territoriale e le tutele legate al canone, che deve essere comunque più basso del canone libero”.

Quali sono invece i vantaggi? 

“Sostanzialmente, quando si parla dei vantaggi, si fa riferimento alle agevolazioni fiscali e alla durata minima del contratto. Ma, come abbiamo detto, il vantaggio dipende anche dal fatto se nel territorio vige un accordo territoriale conveniente o meno per chi ha la disponibilità degli immobili e li vuole mettere in locazione.

Non bisogna dimenticare poi che anche per il conduttore ci sono delle agevolazioni fiscali. Ad esempio, i conduttori di contratti a canone concordato che destinano l’alloggio ad abitazione principale hanno diritto a una detrazione Irpef pari a 495,80 euro, se il reddito complessivo non supera 15.493,71 euro, e a una detrazione Irpef pari a 247,90 euro, se il reddito complessivo è superiore a 15.493,71 euro ma non superiore a 30.987,41 euro. Stipulando un canone libero anziché un canone concordato, la prima detrazione scende a 300 euro e la seconda a 150 euro”.

Quali sono le modalità di accordo tra proprietari e inquilini?

“Per stipulare un canone concordato si possono utilizzare due diverse modalità. La prima – più rara – si chiama 'contratto assistito' e prevede che venga materialmente redatto dall’organizzazione del locatore e da quella del conduttore e sottoscritto anche dalle suddette organizzazioni sindacali. Questo contratto dal punto di vista normativo nasce già 'perfetto' e quindi necessita di avere solo una 'scheda calcolo canone' che viene rilasciata dalle organizzazioni e costituisce parte integrante del contratto.

Il contratto che si usa nella pratica quotidiana si chiama invece 'contratto non assistito', il che non vuol dire che non possa esserci consulenza da parte dell'organizzazione sindacale, ma non è tecnicamente un’assistenza alla stipula. In questo caso, il contratto viene stipulato dalle parti, locatore e conduttore; le organizzazioni, salvo nel caso rarissimo in cui l’accordo territoriale lo preveda, non mettono timbri o firme sul contratto, perché non è stato redatto dalle organizzazioni, ma dalle parti.

Nella pratica, nel caso del 'contratto non assistito', la parte che ha più interesse – in linea di massima il locatore - si deve rivolgere all’organizzazione a cui aderisce (dovrebbe rivolgersi ad una delle organizzazioni sindacali della proprietà edilizia, che a livello nazionale sono otto) e richiedere l’attestazione di rispondenza, che è obbligatoria.

A quel punto l’organizzazione esamina il contratto dal punto di vista normativo e dal punto di vista economico . L’attestazione, infatti, è un documento che attesta la rispondenza all’accordo territoriale sia della parte normativa sia di quella economica del contratto. Questa attestazione attribuisce le agevolazioni fiscali e nell’emetterla le organizzazioni si assumono anche una responsabilità erariale. Una volta ottenuta l’attestazione, il contratto si può registrare”.

Quale consiglio può dare a chi vuole optare per una locazione a canone concordato? 

“Il consiglio a un proprietario immobiliare che si accinge a locare a canone concordato è quello di approcciarsi a una delle organizzazioni della proprietà edilizia e chiedere istruzioni prima di fare qualunque altra cosa. L’organizzazione fornirà i testi di contratto da utilizzare, spiegherà cosa bisogna evitare e cosa invece si può fare, rilascerà un pre-calcolo del canone ammissibile, in modo tale da stipulare un contratto con un canone corretto e che dunque possa essere attestato”.

Cosa è necessario sapere prima di stipulare un contratto di locazione a canone concordato? 

“Il proprietario deve innanzitutto decidere quale accordo territoriale utilizzare, se nel proprio Comune ne vigono più di uno in contemporanea, come ad esempio a Roma e a Bergamo. In questi casi, valuterà quello che si adatta meglio alle caratteristiche oggettive del proprio immobile, che devono essere dichiarate all’organizzazione sotto la sua responsabilità, come previsto dal decreto interministeriale. Una volta deciso quale accordo utilizzare, il proprietario deve rivolgersi ad una tra le organizzazioni che hanno stipulato quell’accordo.

L’organizzazione a quel punto fornisce le istruzioni e la modulistica necessaria, il testo di contratto da utilizzare, che deve essere personalizzato inserendo i dati anagrafici, i dati dell’immobile, qualche clausola aggiuntiva ove congrua, eventuali garanzie o fideiussioni di terzi, se ne esistono. Qualche piccola modifica, come anzi detto, può essere operata, ma il contratto non deve essere stravolto, altrimenti perde la rispondenza normativa e non può essere attestato. Della registrazione se ne può occupare l’organizzazione oppure direttamente il locatore. Quello che è obbligatorio per il locatore richiedere all’organizzazione è l’attestazione”.

C’è un aspetto al quale bisogna prestare particolare attenzione? 

“La massima attenzione deve essere prestata ai contratti transitori, dal momento che non è assolutamente vero che il contratto è 'transitorio' perché così hanno deciso le parti.

Per poter locare con un contratto transitorio, che quindi dura al massimo diciotto mesi e quando cessa non può essere rinnovato, è necessario che ci sia un’esigenza di transitorietà tra quelle indicate nell’accordo territoriale, che ci sia documentazione giustificativa di queste esigenze, che deve obbligatoriamente essere allegata al contratto, oltre al fatto che l’esigenza deve essere indicata nel contratto stesso.

Quindi, laddove l’esigenza sia verificata e documentata il contratto transitorio si può stipulare, altrimenti non si può stipulare o comunque, nel caso l’esigenza ci sia, ma non sia facilmente documentabile, bisogna ricorrere ad assistenza bilaterale, quindi in linea di massima ad un contratto assistito. Ma, soprattutto, il decreto prevede una sanzione importante per chi stipula un contratto transitorio senza rispettare le regole, ossia una conversione in un abitativo 4+4 a canone libero, con la perdita delle agevolazioni fiscali, la durata che diventa di otto anni, il possibile svincolo da parte del garante/fideiussore.

Non solo: il locatore potrebbe addirittura essere condannato alla rifusione al conduttore dell’importo di canone percepito in più, perché il contratto transitorio, nel calcolo del canone, può avere degli incrementi che vanno anche fino al 20%. Quindi, laddove il contratto sia stato stipulato in modo non corretto, il locatore viene condannato a restituire l’indebito percepito. Si tratta di un contratto particolare al quale purtroppo le persone si approcciano con spaventosa leggerezza”.

Cosa, infine, non si dovrebbe fare?

“So di affermare qualcosa di non 'politically correct', ma una delle prime cose che mi vengono in mente è quella che se si vuole locare a canone concordato non ci si dovrebbe rivolgere ad un Caf per la stipula e l’attestazione. Ovviamente va bene per la successiva registrazione.

Il locatore pensa, generalmente, che sia il Caf che emette l’attestazione. Le attestazioni, al contrario, sono emesse dalle organizzazioni della proprietà edilizia o dell’inquilinato che hanno stipulato l’accordo territoriale. A sua volta, quindi, il Caf deve passare l’intera pratica a una delle organizzazioni che può emettere l’attestazione, con un’interposizione che a volte può creare problemi. Questo perché è chiaro che un Caf che segue moltissime tipologie di pratiche differenti può non accorgersi che, a mero titolo di esempio, la clausola della garanzia non ha riportato l’importo massimo garantito e quindi è nulla, oppure che è stata introdotta una clausola risolutiva espressa e così via.

Per di più, ci sono casi in cui il Caf, il cui cliente è il proprietario immobiliare, passa la pratica ad un'organizzazione sindacale dell’inquilinato, il che, anche se non rende invalida l’attestazione, certamente potrebbe dare un diverso taglio alla tutela del locatore e in ogni caso quest’ultimo andrebbe previamente informato di questa particolarità”.

L’attività di Confabitare Roma

Ma cosa fa, nello specifico, Confabitare Roma per informare gli interessati sulle diverse possibilità in materia di locazione e quali servizi offre? Sul punto ha fatto chiarezza Elsa Angelini, che si occupa delle relazioni istituzionali di Confabitare Roma.

“Per spiegare ciò che noi facciamo dobbiamo partire dal cambiamento che c’è stato negli ultimi anni. L’Italia è uno dei Paesi con il più elevato numero di proprietari di abitazioni, dopo l’esperienza del Covid e l’attuale aumento dei tassi di interesse è cambiata molto la percezione della proprietà immobiliare. Le persone si affacciano al mondo delle locazioni più come scelta del nuovo modo dell’abitare. L’offerta e la materia legata alla locazione assumono quindi una nuova visione. La locazione viene vista non più come un momento di transito per poi approdare all’acquisto, ma come scelta che si adatta meglio alle proprie esigenze di vita, spesso in continua evoluzione. 

Su questo e tanti altri temi legati alla politica dell’abitare, Confabitare organizza convegni, seminari, corsi di formazione e iniziative pubbliche, che spesso hanno avuto ampia eco sui social e sui media e che hanno registrato notevole partecipazione e interesse per i temi trattati, ma anche per l’autorevolezza dei relatori. Per quanto concerne la formazione, ci occupiamo anche di corsi. Al riguardo, mi preme ricordare con soddisfazione il successo ottenuto nell’edizione 2023 dall’incontro formativo organizzato nella nostra sede romana il 23 maggio scorso con gli studenti americani di 'Pre-Law' provenienti da diverse Università Usa, in partnership con The Lex Fellowship, e che ha avuto come tema la locazione turistica, un argomento in questo momento molto sensibile. Confabitare è poi presente in numerose manifestazioni fieristiche di grande pregio e richiamo. È presente, inoltre, sul web e sui social.

Confabitare risponde con chiarezza ai propri associati non solo in materia di locazione, ma anche in riferimento alle problematiche che il mondo della locazione porta con sé, tipico esempio è il tema del condominio. E per rispondere meglio e in tempi rapidi ai proprietari di immobili, riteniamo che la vicinanza al territorio, al tessuto urbano, sia di fondamentale importanza. Abbiamo per questo costituito delle sedi provinciali su gran parte del territorio nazionale. Ciascuna sede provinciale, poi, apre delle 'delegazioni' sul territorio. Abbiamo scelto dei professionisti di settore – avvocati, commercialisti, architetti, ingegneri, geometri – altamente qualificati e ai quali è stata data la grande responsabilità di coordinare le delegazioni. Le sedi provinciali e le delegazioni hanno quindi un ruolo importante, quello di avere il contatto diretto con chi è titolare di un diritto di proprietà immobiliare. Questo consente innanzitutto a Confabitare di dare risposte certe agli associati, ma anche di portare avanti le proprie proposte rispetto al ruolo di interlocutore privilegiato, continuando così a svolgere nel modo migliore la funzione di portavoce della categoria rappresentata.

Per poter operare nel modo più ampio possibile, Confabitare ha scelto anche la collaborazione e la sottoscrizione di protocolli di intesa con associazioni che hanno le stesse finalità, partecipando ad accordi che riguardano temi connessi alla locazione immobiliare. Tutto questo rende Confabitare un interlocutore importante per diverse categorie, a cui noi mettiamo a disposizione servizi professionali. Ci preme sottolineare che l’Accordo Territoriale di Roma stipulato il 5 marzo 2019 insieme a Unioncasa e Assocasa è innovativo ed è l’unico in Italia menzionato nel volume 'Memento Immobili e Condominio' di Giuffrè Francis Lefebvre, praticamente una 'Bibbia' del settore.

Le sedi provinciali, compresa quella di Roma e le sue delegazioni, sono a disposizione degli iscritti per tutte le problematiche legate all’abitare sia in casa che in condominio, con particolare focus sulle locazioni. Solo con la vicinanza al territorio si può essere reale portatori di interesse, questo a noi sembra assolutamente il modo migliore per dare risposte”.