martedì 30 maggio 2017

Come salvare la casa dall'Agenzia delle Entrate

Rimanere con un solo immobile intestato e adibito a civile abitazione è il metodo migliore per non rischiare il pignoramento, anche se è sempre possibile contenere il debito sotto i 120 mila euro.

Quando i debiti non possono essere pagati, anche facendo fronte a tutte le proprie possibilità economiche, è naturale che si tenti di salvare lo stretto indispensabile e, in questo, figura inevitabilmente la casa. Lo sa bene chi ha un debito per una cartella di pagamento, magari non impugnata, che minaccia di trasformarsi in un pignoramento immobiliare. Così, sia che il creditore sia l’Agenzia delle Entrate che Equitalia, sostituita quest’ultima dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione a partire dal 1° luglio 2017, il sistema migliore per salvare la casa dal fisco è quello di fare in modo che questa rimanga l’unico immobile di proprietà. Ma attenzione: se il proprietario si muove tardi, quando cioè il debito è ormai certo e consolidato, può subire la revocatoria e, nei casi più gravi, gli può essere contestato il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte. Ma procediamo con ordine.

Come salvare la casa dal pignoramento del fisco
È possibile salvare la casa dall’Agenzia delle Entrate o, più in generale, dal fisco, facendo leva sulle due condizioni che consentono il pignoramento immobiliare per debiti dovuti a cartelle esattoriali:

  • il divieto di pignoramento dell’unica casa di proprietà;
  • il divieto di pignoramento per debiti inferiori a 120mila euro.
Vediamo entrambe le soluzioni che, ovviamente, possono anche convivere.

Debito inferiore a 120mila: pignoramento vietato
La legge italiana [1] consente il pignoramento della casa, per cartelle di pagamento non saldate, solo quando il debito raggiunge i 120.000 euro (comprensivo di interessi, sanzioni e oneri di riscossione). Sotto questo importo, Equitalia o qualsiasi altro Agente della riscossione non può procedere al pignoramento (ossia la messa in vendita forzata dell’immobile). Il creditore può, tutt’al più, e sempre che il debito sia superiore a 20.000 euro, iscrivere ipoteca sull’immobile. In questo caso, fortunatamente, l’iscrizione dell’ipoteca è un pregiudizio più virtuale che sostanziale perché non impedisce né di continuare a vivere nell’immobile, né di donarlo o venderlo. È vero: in caso di cessione della casa il nuovo proprietario ne acquisterebbe la proprietà con tutta l’ipoteca, ma se l’intenzione del contribuente è quella di tenere l’appartamento per sé o, al massimo, donarlo ai figli perché possano fare altrettanto, l’ipoteca non costituisce alcun ostacolo. Resta peraltro il fatto più importante: la sola ipoteca non consente il pignoramento se il debito è, appunto, inferiore a 120.000 euro.

Facciamo un esempio: Tizio ha un debito con l’Agenzia delle entrate di 100mila euro. Riceve una cartella di pagamento per 110mila euro. Ha la proprietà di due immobili. Cosa può fare il fisco nei suoi confronti? Può solo iscrivere ipoteca su uno o entrambi gli immobili, poiché il debito è superiore a 20mila euro. Ma non può procedere a richiedere un pignoramento poiché il debito è inferiore a 120mila euro. Vien da sé che se il debito di Tizio fosse di 130mila euro, quest’ultimo ben potrebbe, spontaneamente, pagare solo 11mila euro, portando la soglia del debito sotto la pignorabilità. Il fisco non può rifiutare un pagamento parziale. Che succede a Tizio che ha la casa ipotecata? Se il creditore resta solo il fisco egli non deve temere nulla, poiché potrà continuare a utilizzarlo e anche cederlo (il cessionario acquisterà la casa con tutta l’ipoteca). Magari, dopo numerosi anni, potrà far valere la prescrizione del credito e ottenere anche la cancellazione dell’ipoteca. Ipoteca che, peraltro, scade sempre dopo 20 anni (salvo rinnovazione).

Restare con un solo immobile
La legge fissa il divieto di pignoramento della casa se:

  • si tratta dell’unico immobile di proprietà del contribuente: questi non deve, cioè, avere neanche una minima quota di proprietà di un altro immobile (si considerano pure i terreni);
  • la casa è adibita a civile abitazione (restano esclusi anche gli usi promiscui);
  • accatastata non nelle categorie A/8 e A/9;
  • in essa il contribuente vi ha fissato la propria residenza anagrafica.

Dunque, se il contribuente ha un secondo immobile, per mettere in salvo il primo (ossia la casa ove vive) dovrebbe cedere l’altro, preferibilmente donandolo a un parente. Ma attenzione: la cessione è revocabile, da parte del fisco, nei primi cinque anni. Quindi è sempre meglio agire prima che il debito sia certo e liquido. Anche in via cautelativa, è sempre meglio che, nell’ambito della stessa famiglia, gli immobili siano divisi tra più soggetti dimodoché nella stessa persona non si concentrino più proprietà immobiliari. Inoltre se il debito col fisco è superiore a 50mila euro e riguarda imposte sui redditi o Iva, il contribuente che abbia ceduto il secondo immobile, in modo da rendere impignorabile il primo, potrebbe essere denunciato per il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte.

Note: [1] Dl. N. 69/2013.

Fonte: La Legge per Tutti
Autore : Redazione
Data: 09/02/2017

lunedì 29 maggio 2017

Come liberarsi di una casa o un terreno che non si vende

Rinuncia alla proprietà: costi, modello di atto, procedura.

Se mantenere i costi e le tasse di una casa o di un terreno è eccessivamente oneroso per il tuo portafogli hai la possibilità di liberartene abdicando alla proprietà in favore dello Stato. Si chiama «rinuncia alla proprietà» e si tratta di una soluzione offerta dal nostro diritto scarsamente applicata, ma sicuramente molto utile.

Il nostro codice civile [1] stabilisce che i beni immobili che non sono in proprietà di alcuno spettano al patrimonio dello Stato. In buona sostanza, lo Stato ne acquista la proprietà per il solo fatto che tali immobili siano tali e non tramite occupazione. Quindi al titolare di un immobile che voglia liberarsi del proprio diritto di proprietà – qualsiasi sia la ragione di tale scelta – non ha che effettuare la dichiarazione di rinuncia e, in forza di questa, l’immobile passa direttamente allo Stato.
Anche la giurisprudenza ha avvalorato la tesi in questione sostenendo che il diritto di proprietà sui beni immobili si estingue per effetto dell'abbandono da parte del proprietario [2]. Invece, i beni immobili situati nella regione Trentino-Alto Adige e abbandonati dal proprietario vengono acquistati a titolo originario dalla regione [2].

La «rinuncia alla proprietà» in favore dello Stato è possibile solo quando proprietario dell’immobile è un solo soggetto. In tal caso, è necessario innanzitutto recarsi da un notaio ed effettuare la dichiarazione di rinuncia. Il professionista poi procederà a trascrivere detta dichiarazione di rinuncia nei registri immobiliari (l’ufficio del territorio si trova presso l’Agenzia delle Entrate) [3]. In conseguenza di ciò, il terreno, l’appartamento, il giardino, la strada ecc. passa automaticamente in capo allo Stato, senza bisogno di accettazione da parte di quest’ultimo attraverso un proprio organo. È un’operazione, insomma, che avviene mediante l’attività del solo titolare del bene senza altri soggetti. Normalmente la rinuncia alla proprietà libera il rinunziante dalle spese successive all’atto notarile, ma la rinuncia alla quota di comproprietà su un bene immobile produce anche un effetto liberatorio per le spese di conservazione e godimento della cosa comune, e per le spese deliberate dalla maggioranza, precedenti all’atto di rinuncia.

La «rinuncia alla proprietà» in favore dello Stato non è invece possibile quando il bene sia in comproprietà o in comunione con altri soggetti: in questi casi, infatti, la rinuncia, da parte di uno dei contitolari alla sua quota del bene comporta l’accrescimento della quota degli altri soggetti. Ad esempio, se un terreno è in comunione indivisa tra Tizio e Caio, con la rinuncia del primo alla proprietà, il secondo diventa proprietario al 100%. Se un’eredità consistente in un terreno agricolo viene divisa tra i quattro figli del soggetto deceduto, per il 25% a testa, con la rinuncia all’eredità di uno di loro, gli altri tre acquisiscono in automatico una quota pari al 33%. Gli esempi potrebbero moltiplicarsi.


Quanto costa la rinuncia alla proprietà?
La rinuncia alla proprietà è di norma eseguita senza ricevere alcun corrispettivo ed è soggetta all’imposta di donazione. Pertanto il costo dell’atto di rinuncia è pertanto simile a quello di un atto di donazione: 8% del valore dell’immobile.

Altra parte della dottrina, invece, ha ritenuto che la trascrizione della rinunzia avverrebbe, stante la sua natura puramente abdicativa, unicamente contro il rinunziante.
Nonostante l’autorevolezza degli Autori che hanno sostenuto la prima tesi, la soluzione preferibile sembra essere la seconda. La trascrizione unicamente contro il rinunziante appare più? coerente con la natura del negozio abdicativo. Esso produce effetti, come si e? detto, unicamente nella sfera giuridica del suo autore, risultando eventuali modificazioni della sfera giuridica altrui (in questo caso l’acquisto in capo allo Stato) effetti solo indiretti e riflessi del negozio posto in essere. In mancanza di un effetto traslativo e considerando la circostanza che l’acquisto dello Stato avviene, secondo l’opinione prevalente degli interpreti, a titolo originario, appare più? corretta una trascrizione presa unicamente contro il soggetto rinunziante.

Note:
[1] Art. 827 cod. civ.
[2] Trib. Rovereto, sent. del 22.05.2015.
[3] Parte della dottrina ha sostenuto che la trascrizione andrebbe presa contro il rinunziante ed a favore dello Stato.

Fonte: La Legge per Tutti

venerdì 26 maggio 2017

Come comprare immobili senza soldi?

Comprare casa senza soldi è impossibile… o no? Ci sono soluzioni valide anche per chi non dispone di immediata liquidità. Vediamole insieme.

Comprare casa senza soldi: è impossibile, diranno molti di noi. Eppure esistono vari modi per diventare proprietari di un immobile, o semplicemente possederlo, anche se non si dispone, nell’immediato, di liquidità di denaro. Bando alle ciance, vediamo quali sono.

Comprare casa senza soldi: leasing immobiliare
Con il leasing immobiliare (o locazione finanziaria) è una banca o un’altra società ad acquistare l’abitazione a cui il privato è interessato, offrendogliela poi in godimento, dietro pagamento di un fitto periodico, a un valore superiore a quello di mercato. In pratica, una specie di locazione. Alla scadenza del contratto, però, l’utilizzatore può scegliere se:

  • recedere dal contratto;
  • rinnovare il leasing per un altro periodo;
  • acquistare l’immobile, riscattando la residua parte del valore, detratti i canoni sino ad allora corrisposti (cosiddetto riscatto).
Come si può notare, con il leasing l’utilizzatore dispone immediatamente dell’immobile, impegnandosi a rimborsare ratealmente la somma anticipata dal concedente, oltre agli interessi e alla remunerazione del capitale per il rischio dell’operazione.

Comprare casa senza soldi: vendita con riserva di proprietà
Altro modo è quello della vendita con riserva della proprietà (o anche detta “con patto di riservato dominio”): in tal caso, la proprietà del bene non viene trasferita con la firma del contratto, ma solo con il pagamento dell’ultima rata. Il futuro acquirente, però, può entrare fin da subito in possesso dell’immobile. Ancora una volta, una sorta di affitto, con la certezza che il pagamento di tutti i canoni porterà, alla fine del contratto, anche all’acquisto della titolarità del bene, senza possibilità di riscatto come, invece, avviene nel leasing. Come si può capire, in tal modo, viene garantita la certezza dell’acquisto ed eventuali ipoteche o pignoramenti a carico del venditore non potranno essere opposti all’acquirente, dato che il suo acquisto viene trascritto anteriormente agli atti pregiudizievoli. Meno vantaggi, invece, dal punto di vista fiscale in quanto, trattandosi di compravendita a tutti gli effetti, le imposte vanno pagate immediatamente.

Comprare casa senza soldi: il rent to buy
Con il rent to buy (letteralmente “locare per acquistare”) la concessione del godimento di un immobile (rent) è immediata: il conduttore ha diritto ad acquistarlo (buy) entro un termine determinato, imputando al corrispettivo del trasferimento la parte di canone indicata nel contratto (per approfondire si legga Rent to buy ora è legge: nuovi contratti per acquistare casa). In sostanza, la vendita di immobili avviene attraverso un’operazione basata su due contratti collegati ma stipulati in momenti diversi:

  • prima, il vero e proprio contratto di rent to buy, con il quale si attribuisce a un soggetto il godimento dell’immobile che egli ha intenzione di acquistare;
  • poi, la vendita, in modo analogo a un normale contratto di vendita, ma che, però, è eventuale, subordinata al fatto che il conduttore eserciti il diritto d’acquisto contrattualmente previsto.


I vantaggi del rent to buy, soprattutto in momenti di crisi del mercato immobiliare, sono molteplici, dato che il futuro acquirente può:

  • acquistare l’immobile pagandone il prezzo in modo dilazionato, pur avendone immediatamente la disponibilità; decidere se acquistare l’immobile o meno dopo averlo avuto il locazione; 
  • ottenere facilitazioni nella richiesta di un mutuo: si riesce a essere più credibili dal punto di vista della solvibilità e risulta ridotto l’importo da farsi erogare (le banche infatti non concedono quasi mai mutui oltre l’80% del valore di perizia dell’immobile);
  • posticipare l’atto notarile e le relative spese; posticipare il momento in cui deve versare le imposte sull’acquisto;
  • godere di un maggior tempo per vendere l’immobile che si intende eventualmente sostituire con quello oggetto del futuro acquisto.
Comprare casa senza soldi: prestito vitalizio ipotecario Il prestito vitalizio ipotecario è una soluzione per chi ha più di 60 anni ed è già proprietario di un immobile. In sostanza, l’interessato si rivolge a una banca e chiede un prestito pari a una percentuale del v
alore dell’immobile da acquistare, dietro concessione di ipoteca sullo stesso immobile. Così facendo, può diventare proprietario dell’abitazione.

Alla morte del proprietario gli eredi possono scegliere se: rimborsare il prestito alla banca (a rate o meno), estinguere l’ipoteca e tenersi l’immobile; vendere l’immobile o farlo vendere alla banca, sempre a prezzo di mercato, estinguendo con il ricavato il debito.

giovedì 25 maggio 2017

Casa: quando l’immobile è di lusso?

Ai fini dell’ottenimento del bonus prima casa non si considera più il criterio dei 240 metri quadri, ma solo la categoria catastale.

Solo le case rientranti nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9 si considerano di lusso e, pertanto, non possono usufruire del bonus prima casa. Viene così superato il criterio dei 240 metri quadri
previsto in passato. Lo ha stabilito la Commissione Tributaria Regionale di Roma [1]. Secondo i giudici laziali, i nuovi criteri, che dal 2014 hanno sostituito quelli individuati dal decreto del ministro dei Lavori pubblici del 1969 [2] e si applicano anche per il passato. Pertanto, l’unico elemento da considerare per stabilire se un immobile è di lusso o meno è la classificazione catastale e non la superficie.

Quali sono le categorie catastali?


  • A/1 Abitazioni di tipo signorile
  • A/2 Abitazioni di tipo civile
  • A/3 Abitazioni di tipo economico
  •  A/4 Abitazioni di tipo popolare
  • A/5 Abitazioni di tipo ultrapopolare
  • A/6 Abitazioni di tipo rurale
  • A/7 Abitazioni in villini
  • A/8 Abitazioni in ville
  • A/9 Castelli, palazzi di eminenti pregi artistici o storici
  • A/10 Uffici e studi privati
  • A/11 Abitazioni ed alloggi tipici dei luoghi 


Quali sono gli immobili non di lusso?
Non si considerano di lusso – e pertanto beneficiano delle agevolazioni fiscali - gli immobili accatastati nelle seguenti categorie:

  • A2: Abitazione civile
  • A3: Abitazione di tipo economico
  • A4: Abitazione di tipo popolare
  • A5: Abitazione di tipo ultrapopolare
  • A6: Abitazione di tipo rurale


Quindi, ad esempio, una casa classificata A2 di 300 metri quadri non si considera più di lusso, benché superi il tetto (precedentemente fissato) dei 240 metri quadri.


Quali sono gli immobili di lusso?
Si considerano di lusso - e quindi non possono ottenere il bonus prima casa – gli immobili accatastati nelle seguenti categorie:

  • A1: Abitazione di tipo signorile
  • A7: Villini
  • A8: Ville
  • A9: Castelli, palazzi di eminenti pregi artistici o storici.


Il nuovo criterio prevale sul passato
Secondo la sentenza in commento, i nuovi criteri per i benefici fiscali sulla prima casa in vigore dal 2014 valgono anche per il passato e pertanto hanno efficacia retroattiva. La classificazione catastale prevale sulle vecchie regole del 1969.
La modifica è scattata nel 2011 [3] quando un decreto legislativo ha «modificato i criteri di individuazione delle classi degli immobili ai fini dell’imposta di trascrizione riportando tutto alla categoria catastale». Ciò è stato confermato dalla stessa agenzia delle Entrate, la quale ha affermato [4] che «a decorrere dal 1° gennaio 2014, … l’applicabilità delle agevolazioni prima casa risulta vincolata, ai fini dell’imposta di registro, alla categoria catastale in cui è classificato o classificabile l’immobile e non più alle 13 caratteristiche individuate dal decreto del ministro dei Lavori pubblici del 2 agosto 1969, così come previsto dall’articolo 1, quinto periodo, della Tariffa, parte prima, allegata al Tur, nella formulazione applicabile fino al 31 dicembre 2013».

Il bonus prima casa
Il bonus prima casa consiste in una riduzione dell’IVA al 4% per gli acquisti da impresa e dell’Imposta di registro al 2% per gli acquisti da privato.

Si considerano di lusso: – abitazioni realizzate su aree destinate dagli strumenti urbanistici, adottati od approvati, a ville, parco privato ovvero a costruzioni qualificate dai predetti strumenti come di lusso; – abitazioni realizzate su aree per le quali gli strumenti urbanistici, adottati od approvati, prevedono una destinazione con tipologia edilizia di case unifamiliari e con la specifica prescrizione di lotti non inferiori a 3000 mq, escluse le zone agricole, anche se in esse siano consentite costruzioni residenziali; – abitazioni facenti parte di fabbricati che abbiano cubatura superiore a 2000 mc e siano realizzati su lotti nei quali la cubatura edificata risulti inferiore a 25 cm. v.p.p. per ogni 100 mq di superficie asservita ai fabbricati; – abitazioni unifamiliari dotate di piscina di almeno 80 mq di superficie o campi da tennis con sottofondo drenato di superficie non inferiore a 650 mq; – case composte di uno o più vani costituenti unico alloggio padronale aventi superficie utile complessiva superiore a mq 200 (esclusi i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e posto macchine) ed aventi come pertinenza un’area scoperta della superficie di oltre sei volte l’area coperta; – singole unità immobiliari aventi superficie utile complessiva superiore a mq 240 (esclusi i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e posto macchine); – abitazioni facenti parte di fabbricati o costituenti fabbricati insistenti su aree comunque destinate all’edilizia residenziale, quando il costo del terreno coperto e di pertinenza supera di una volta e mezzo il costo della sola costruzione.

Note:
[1] Ctr Roma, sent. n. 4449/1/15.
[2] Decreto del ministro dei Lavori pubblici del 2 agosto 1969, così come previsto dall’articolo 1, quinto periodo, della Tariffa, parte prima, allegata al Tur, nella formulazione applicabile fino al 31 dicembre 2013.
[3] Art. 10 d.lgs. n. 23/2011.
[4] Ag. Entrate, circolare 2/E del 2014, al paragrafo 1.3.

Fonte: La Legge per Tutti
Autore : Redazione
Data: 17/01/2017

mercoledì 24 maggio 2017

Beni non pignorabili: quali sono

Pignoramento: ecco tutti i beni mobili ed immobili che non possono essere aggrediti dai creditori.

La legge stabilisce chiaramente quali sono i beni non pignorabili, mobili ed immobili. Per quanto riguarda i primi, l'obiettivo è quello di tutelare la dignità del debitore e le sue basilari esigenze di vita. Per questo motivo non possono essere aggredite cose indispensabili per mangiare, dormire o lavorare. Riguardo ai beni immobili, esistono dei limiti particolari se si ha un debito col fisco: Equitalia non può pignorare l'unica casa del debitore. Se questo ha più immobili, l'ente può aggredirli solo se il debito supera i 120mila euro. Questi limiti non valgono se il creditore è un privato (ad esempio una banca).

Beni mobili non pignorabili: quali sono
Con il pignoramento, sui beni del debitore si pone un vincolo che li assoggetta al procedimento esecutivo. In pratica, il debitore non potrà disporre dei suoi beni (non potrà quindi venderli o affittarli) fino a quando non avrà fine tutta la procedura volta a soddisfare delle ragioni del creditore (si pensi a una banca o al fisco). Esistono però delle cose che, per legge, non possono essere pignorate, in quanto fondamentali per l'esistenza stessa del debitore, del suo diritto alla vita e alla dignità personale.
La legge, quindi, limita in alcuni casi le pretese creditorie, sancendo espressamente l'impignorabilità di alcuni beni [1]. Nella specie, si tratta di:

  • cose sacre o che servono ad esercitare il culto;
  • anello nuziale, vestiti biancheria, letti, tavoli e sedie necessari per consumare i pasti, armadi, cassettoni, frigorifero, stufe e fornelli da cucina (sia a gas che elettrici), lavatrice, utensili di casa e cucina con il relativo mobile che li contiene: il tutto in quanto indispensabile al debitore e alla sua famiglia per vivere. Restano pignorabili invece i mobili (tranne i letti) di grande valore economico per via del loro pregio artistico o di antiquariato;
  • commestibili e combustibili necessari per un mese al mantenimento del debitore e della sua famiglia;
  • armi e tutte le cose che il debitore ha l'obbligo di detenere per ragioni di pubblico servizio; decorazioni al valore, lettere, registri e scritti di famiglia in generale, oltre ai manoscritti, a meno che non facciano parte di una collezione; gli animali da compagnia tenuti in casa o in altri luoghi di proprietà del debitore, senza fini produttivi, alimentari o commerciali; gli animali utilizzati a fini terapeutici o di assistenza per il debitore o per i suoi familiari.

Tutte le cose elencate sono assolutamente impignorabili: non potranno mai essere coinvolte nel procedimento esecutivo. Esistono poi alcuni beni che possono essere pignorati a determinate condizioni [2]. In particolare, le cose che il proprietario del fondo detiene per il servizio o la coltivazione dello stesso, possono essere pignorate separatamente dall'immobile solo in mancanza di altri beni mobili. Se tuttavia le cose suddette sono indispensabili per la coltura del fondo, il debitore può chiedere al giudice di dichiararle impignorabili (oppure, anche se pignorate, di permetterne l'uso col rispetto delle cautele adeguate per la loro conservazione). Gli oggetti, gli strumenti e i libri indispensabili per al debitore per esercitare la professione, l'arte o il mestiere possono essere pignorati nei limiti di un quinto del loro valore e, inoltre, solo qualora tutti gli altri beni pignorati non abbiano un valore sufficiente per l'estinzione del credito.

Beni immobili non pignorabili: quali sono
L'espressione «prima casa» è utilizzata impropriamente in questo ambito: è infatti più corretto parlare di «unica casa». La legge infatti stabilisce, se il creditore è Equitalia, l'impignorabilità della casa del debitore, a patto che:


  • costituisca l'unica abitazione del debitore stesso: se si tratta di prima casa (e quindi ce ne sono delle altre), essa sarà pignorabile al pari di tutte le altre;
  • sia iscritta a catasto come civile abitazione;
  • non appartenga alla categoria degli immobili di lusso;
  • non sia accatastata sotto le categorie A/8 e A/9 (rispettivamente ville e castelli);
  • il debitore abbia vi fissato anagraficamente la propria residenza.
Se manca anche una soltanto di queste caratteristiche, Equitalia potrà procedere al pignoramento, a patto però che il valore del credito superi i 120mila euro. Inoltre, anche se si tratta di unica casa e il credito supera i 20mila euro, Equitalia potrà comunque iscrivere un'ipoteca sull'immobile. Se il debito col fisco è inferiore a 20mila euro, invece, nemmeno l'ipoteca sarà possibile.
L'ente pubblico, tuttavia, anche se non può iniziare il procedimento esecutivo, può inserirsi nell'esecuzione iniziata da altri creditori (per i quali, al contrario di Equitalia, l'unica casa del debitore è liberamente pignorabile). Quindi, se il pignoramento è eseguito da un altro creditore (ad esempio una banca), Equitalia può entra
re nel relativo procedimento e soddisfarsi sul denaro ricavato dalla vendita all'asta dell'immobile.

Note:
[1] Art. 514 cod. proc. civ.
[2] Artt. 515 e 516 cod. proc. civ.

Fonte: La Legge per Tutti
Autore: Emanuele Carbonara
Data: 20/11/2016

martedì 23 maggio 2017

Affitto non dichiarato: effetti

L’affittuario non può essere sfrattato se non paga il canone oppure può chiedere la restituzione dei soldi pagati durante l’uso della casa. L’inquilino è però corresponsabile verso il fisco.

Non dichiarare il contratto di affitto, ossia non effettuare la registrazione all’Agenzia delle Entrate, ha conseguenze negative sia per il padrone di casa che per l’inquilino: rischi che coinvolgono tanto l’aspetto fiscale quanto quello civilistico. In particolare, il fisco può chiedere il pagamento dell’imposta di registro, con sanzioni e interessi, sia al padrone di casa che all’affittuario; dall’altro lato il contratto di affitto in nero si considera inesistente e tutte le prestazioni eseguite – come il pagamento del canone di locazione – vanno restituite. Ma procediamo con ordine e approfondiamo tutte le possibili conseguenze e gli effetti di un affitto non dichiarato.


Gli effetti dell’affitto non dichiarato per il padrone di casa
Schematicamente, qui di seguito elencheremo i principali effetti di un affitto in nero per il padrone di casa (o, più precisamente detto, locatore), salvo poi approfondirli nel corso dell’articolo:

  • il contratto è nullo e, quindi, il padrone di casa è tenuto a restituire tutti i canoni di affitto percepiti durante l’esecuzione del contratto;
  • se l’inquilino non paga i canoni di affitto indicati nel contratto non registrato o concordati a voce non può essere sfrattato con la procedura d’urgenza, ma è necessario un giudizio ordinario, più lungo e costoso;
  • se l’inquilino non paga i canoni di affitto indicati nel contratto non registrato o concordati a voce, il padrone di casa non può richiedere, nei suoi confronti, un decreto ingiuntivo;
  • se l’inquilino subisce dei danni fisici conseguenti agli impianti o alla manutenzione dell’appartamento (si pensi a fughe di gas o scoppio caldaia), il padrone di casa ne risponde penalmente, anche se il contratto è nullo;
  • da un punto di vista fiscale, entro massimo un anno dalla firma del contratto è possibile pagare l’imposta di registro con il ravvedimento operoso, che riduce le sanzioni. Il contratto, però, sotto un profilo civilistico, resta nullo;
  • in caso di omessa registrazione del contratto, si applica la sanzione ordinariamente prevista dal 120 al 240% dell'imposta dovuta.


Gli effetti dell’affitto non dichiarato per l’affittuario
Schematicamente, elenchiamo qui di seguito i principali effetti di un affitto in nero per l’affittuario (ossia l’inquilino o, più propriamente, il conduttore), salvo poi approfondirli nel corso dell’articolo:

  • l’affittuario è responsabile in solido, verso il fisco, insieme al padrone di casa, per l’imposta di registro non pagata;
  • in caso di omessa registrazione del contratto, si applica la sanzione ordinariamente prevista dal 120 al 240% dell'imposta dovuta; nel caso in cui l’affitto sia stato registrato, ma il padrone di casa esiga, a titolo di canone, degli importi superiori rispetto a quelli indicati nel contratto, l’inquilino che non paghi tali maggiorazioni non può essere sfrattato né può subire la notifica di un decreto ingiuntivo. Se, invece, le paga, entro sei mesi dalla riconsegna dell’immobile può agire contro il padrone di casa per farsi restituire tali somme;
  • l’affittuario non può scaricare dalle tasse le spese sostenute per l’immobile, non avendo prova del contratto di affitto;
  • l’affittuario che paga i canoni di locazione dell’affitto non registrato può sempre chiederli indietro, anche alla scadenza del contratto, atteso che si tratta di contratto nullo.


Chi deve registrare il contratto di affitto?
Il contratto di affitto deve essere registrato dal padrone di casa entro 30 giorni dalla data della firma. Il mancato rispetto di tale termine lo espone a due rischi:

  • sotto l’aspetto tributario, il fisco può esigere da lui (ma anche dall’inquilino) il pagamento dell’imposta di registro con tutte le maggiorazioni conseguenti al ritardo o all’evasione. Tale problema, però, può essere risolto con una registrazione tardiva: se essa interviene, infatti, entro un anno si può usufruire del ravvedimento operoso che comporta una riduzione delle sanzioni. In particolare, sempre a patto che l’agenzia delle entrate non abbia già avviato accessi, ispezioni o verifiche, il padrone di casa che registra il contratto non oltre 90 giorni ottiene una sanzione ridotta del 12% dell’imposta di registro dovuta. Invece, dal 91° giorno oltre la scadenza ma entro l’anno, la sanzione ridotta ammonta al 15%. Se si supera l’anno la sanzione è pari al 120% dell’imposta di registro dovuta;
  • sotto l’aspetto civilistico, invece, il contratto si considera nullo. A differenza delle conseguenze fiscali, la nullità del contratto non può essere sanata neanche con una registrazione tardiva. Al padrone di casa non resta che provvedere a registrare un nuovo contratto, con la consapevolezza che, per il periodo pregresso, il rapporto con l’inquilino resta come se non fosse mai esistito. Ciò implica che, se questi non paga, non gli si può notificare un decreto ingiuntivo né sfrattarlo (sempre limitatamente al periodo per il quale il contratto non è stato registrato).

Come abbiamo detto, il padrone di casa ha 30 giorni di tempo per registrare il contratto dalla sua firma. Nei successivi 60 giorni egli deve inoltre:

  • darne comunicazione all’inquilino, esibendogli la relativa documentazione;
  • se l’immobile è in un condominio, darne comunicazione all’amministratore per consentirgli di aggiornare l’anagrafe dei conti correnti.

Chi deve pagare la registrazione dell’affitto?
Le spese di registrazione dell’affitto sono al 50% a carico dell’inquilino e al 50% a carico del padrone di casa. Le parti possono accordarsi per attribuire tutte le spese a carico del padrone di casa, ma non il contrario.

Che succede se il contratto di affitto è scritto ma non registrato?
Il contratto di affitto, per considerarsi valido, non deve essere semplicemente redatto per iscritto, ma va anche registrato. Un contratto di affitto scritto ma non registrato si considera ugualmente nullo e “in nero”.

Che succede se il padrone di casa chiede un affitto superiore a quello nel contratto?
Il padrone di casa non può esigere, dall’inquilino, un canone di affitto superiore a quello indicato nel contratto di affitto regolarmente registrato. Se lo fa si espone ai seguenti rischi:

  • l’inquilino, anche se in un primo momento ha acconsentito a pagare il surplus, dopo potrebbe rifiutarsi di farlo e non potrebbe comunque essere sfrattato, né gli si può notificare un decreto ingiuntivo;
  • l’inquilino, se paga il surplus, ha sei mesi di tempo per agire, nei confronti del padrone di casa, per farsi restituire tali somme.

Che succede se il padrone di casa non registra l’affitto?
Secondo una recente sentenza della Cassazione, poiché l’affitto non dichiarato al fisco è sempre nullo, le prestazioni eseguite in esecuzione di esso vanno restituite: così il padrone di casa è tenuto a ridare all’inquilino, a richiesta di quest’ultimo, tutti i canoni di affitto pagati durante il corso del rapporto contrattuale. Al limite potrebbe agire poi nei suoi confronti con una azione di illecito arricchimento, ma di certo per ottenere un importo inferiore rispetto a quello preteso a titolo di affitto.

Cosa si rischia col fisco in caso di omessa registrazione dell’affitto?
In caso di omessa registrazione del contratto, si applica la sanzione ordinariamente prevista dal 120 al 240% dell'imposta dovuta. Tuttavia, se la richiesta di registrazione è effettuata con ritardo non superiore a 30 giorni, si applica la sanzione dal 60% al 120% dell'ammontare delle imposte dovute, con un minimo di € 200.
In caso di omessa registrazione nel termine di 30 giorni da parte del locatore, il conduttore può chiedere al giudice di determinare le condizioni economiche del contratto.
Per i soggetti che hanno versato, nel periodo 2011-2015 il mini canone determinato in base alla rendita catastale in forza della predetta norma dichiarata incostituzionale, il canone è determinato sul triplo della rendita.
Alle predette sanzioni sono tenuti sia l'affittuario che il padrone di casa.
Al fine di evitare che vengano registrati contratti di locazione per un importo inferiore a quello realmente pattuito, è previsto che gli uffici non possono procedere ad accertamenti nei confronti di quei contribuenti che, ai fini della determinazione dell'imposta di registro relativa ai contratti di locazione, dichiarano un canone almeno pari al 10 per cento del valore catastale dell'immobile.
Il valore catastale dell'immobile si determina applicando alla rendita catastale i moltiplicatori rivalutati al 20 per cento (per i fabbricati locati il moltiplicatore è in ogni caso 120).
Per le annualità successive alla prima restano comunque fermi i poteri di liquidazione dell'imposta da parte dell'ufficio.
La modalità di determinazione del valore su base catastale prevista per l'imposta di registro rileva anche per l'accertamento dell'Irpef dovuta sui redditi di fabbricati.
In particolare, ai fini Irpef gli uffici non possono rettificare il reddito derivante da immobili locati quando si dichiara l'importo maggiore tra:

  • il canone di locazione risultante dal contratto, ridotto del 15%;
  • il 10% del valore catastale dell'immobile.

Il valore dell'immobile dovrà essere determinato applicando alla rendita catastale i moltiplicatori previsti ai fini dell'imposta di registro, rivalutati del 20%.
Anche dette disposizioni non si applicano per i contratti di locazione di immobili ad uso abitativo a canone "concordato".

Che succede se l’affittuario non paga il canone di affitto? 
Se l’affittuario non paga il canone dell’affitto non dichiarato al fisco il padrone di casa non può mandarlo via con la procedura di sfratto, caratterizzata da tempi più celeri e modalità più sciolte. Per tale procedimento è infatti necessario esibire un valido contratto di affitto registrato.
Il padrone di casa potrà solo fare una causa per «occupazione senza titolo»: si tratta di un giudizio ordinario, che potrebbe durare dai 3 ai 5 anni (a seconda del carico di lavoro del tribunale e delle prove da produrre). All’esito, poi, bisognerà mandare via l’inquilino con l’ufficiale giudiziario, il che potrebbe richiedere ulteriori tempi.

Cosa rischia l’affittuario se il padrone di casa non dichiara l’affitto?
Secondo una precisazione dell’Agenzia delle Entrate, il fisco può esigere il pagamento dell’imposta tanto dall’inquilino quanto dal padrone di casa. E questo a prescindere dal fatto che spetti solo a quest’ultimo la registrazione. Nulla toglie, infatti, che l’inquilino vi provveda al posto suo, salvo poi chiedergli il pagamento della sua parte (la metà).
Dunque entrambi i soggetti sono tenuti al versamento dell’imposta e sono responsabili anche delle sanzioni e degli interessi.

Fonte: La Legge per Tutti
Autore: Redazione
Data: 16/01/2017

venerdì 19 maggio 2017

Se compro casa mi spetta sempre il posto auto?

Nel corso degli anni sono intervenute diverse leggi sul tema del posto macchina: la
Cassazione chiarisce espressamente quale di esse va applicata.

Quando siamo alla ricerca di un nuovo appartamento, è facile che ci sorga un dubbio non
trascurabile: se compro casa mi spetta sempre il posto auto? Su questo tema la legge è
cambiata nel 2005, affermando che il posto auto può essere venduto anche separatamente
dall'immobile cui si riferisce. Oggi quindi chi compra casa non ha sempre diritto al posto macchina.
Attenzione però, perché per le case costruite prima del 2005 ciò non avviene. Vediamo nel
dettaglio il perché.

Cosa dice la legge riguardo al posto auto
La cosiddetta legge urbanistica del 1942 afferma che «nelle nuove costruzioni ed anche nelle aree
di pertinenza delle costruzioni stesse, debbono essere riservati appositi spazi per i parcheggi in
misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni venti metri cubi di costruzione» [1]. In pratica
quindi, chi costruisce un nuovo edificio veniva obbligato a riservare specifici spazi ai posti auto.
Successivamente, nel 1989, la legge Tognoli sancisce espressamente che «i parcheggi realizzati ai
sensi del presente articolo non possono essere ceduti separatamente dall'unità immobiliare alla quale sono legati da vincolo pertinenziale. I relativi atti di cessione sono nulli» [2]. In pratica quindi,
gli spazi destinati al posto auto sono legati indissolubilmente alle abitazioni cui si riferiscono
(cosiddetto «vincolo pertinenziale»: la stessa relazione esistente tra appartamento e box). Inoltre, è
vietato ai costruttori vendere lo spazio destinato a parcheggio ad un soggetto diverso rispetto a chi
compra casa. L'acquirente dell'appartamento, dunque, ha diritto ad ottenere anche il relativo posto
auto. Se ciò non avviene, il contratto è nullo nella parte in cui non prevede quanto stabilito dalla
normativa descritta. Per un approfondimento, si veda l'articolo La vendita dell'immobile senza
parcheggio è nulla.
Quanto appena affermato rimane valido anche oggi, a patto però che l'immobile sia stato costruito
prima del 16 dicembre 2005. In questa data, infatti, è entrata in vigore una nuova legge, la quale
afferma che «gli spazi per parcheggi realizzati in forza del comma 1 non sono gravati da vincoli
pertinenziali di sorta né da diritti d'uso a favore dei proprietari di altre unità immobiliari e sono
trasferibili autonomamente da esse» [3].
In pratica, dalla fine del 2005 è stato rotto il rapporto indissolubile che legava il posto auto
all'appartamento. È quindi consentito ai costruttori vendere gli spazi per i parcheggi separatamente
dall'abitazione: di conseguenza, dal 16 dicembre 2005, se compro casa non mi spetta sempre il
posto auto.

L'importanza della data di costruzione dell'immobile
Nel nostro ordinamento giuridico, la legge dispone solo per l'avvenire e non ha effetto retroattivo
[4]. Significa che se entra in vigore una nuova disposizione, essa varrà solo per il futuro e non per
il passato (a meno che ciò non sia espressamente stabilito il contrario dalla legge stessa).
Applicando il principio all'argomento che stiamo trattando e considerando che la nuova legge (che
ha ribaltato le regole precedenti) è entrata in vigore il 16 dicembre 2005, avremo che:
per gli immobili costruiti prima del 16 dicembre 2005 e per i contratti di vendita già stipulati
prima di questa data, vale la vecchia disciplina: il posto auto costituisce pertinenza
dell'appartamento e non può essere venduto separatamente rispetto a quest'ultimo;
viceversa, per le costruzioni terminate dopo il 16 dicembre 2005 e per i contratti conclusi
successivamente a tale data, il posto auto può essere venduto separatamente rispetto all'abitazione.
La Cassazione ha più volte ribadito questo principio [5]. Chiunque voglia vendere il proprio
appartamento (sia che si tratti del costruttore sia che si tratti di un comune proprietario), da fine
2005 potrà vendere casa e posto auto separatamente, a due acquirenti diversi. Oggi, quindi, se
compro casa non mi spetta sempre il posto auto.

Note:
[1] Art. 41 sexies, comma 1, L. n. 1150/1942, introdotto dall’art. 18 L. n. 765/1967.
[2] Art. 9, comma 5, L. n. 122/1989.
[3] Art. 41 sexies, comma 2, L. n. 1150/1942, introdotto dall’art. 12, comma 9, L. n. 246/2005.
[4] Art. 11 disp. preliminari al codice civile.
[5] Cass. sent. n. 21003/2008 del 01.08.2008; Cass. sent. n. 378/2010 del 13.01.2010; Cass. sent.
n. 17600/2015 del 04.09.2015.

Fonte: La Legge per Tutti
Autore : Emanuele Carbonara
Data: 20/12/2016

giovedì 18 maggio 2017

Locazione turistica: regime fiscale e aspetti pratici


Il regime della locazione turistica di un appartamento per periodi brevi consente al
proprietario di gestirlo al meglio variando l'offerta in base al periodo.

Nell'attuale mercato immobiliare si sta sviluppando un fenomeno che nasce dal connubio tra le
nuove tecnologie di internet e l'esigenza abitativa per soggiorni temporanei e turistici in varie città italiane.
Il regime fiscale e i potenziali guadagni degli «affitti brevi», come vengono chiamate in gergo
popolare le locazioni turistiche, sono molto più interessanti, per i proprietari, rispetto alle usuali
locazioni abitative. L'intermediazione, anche pubblicitaria, di un portale o sito web con l'offerta di
un appartamento da parte di un proprietario locatore, rende molto più facile l'affare di qualsiasi
contrattazione.
La locazione turistica permette infatti al proprietario di concedere in locazione un appartamento o
anche solo una stanza dello stesso a soggetti ospiti, di diversa nazionalità, che vi dimoreranno per
periodi brevi pagando un compenso che sarà per lo più non contrattato ma stabilito dall'offerente
locatore.

Nella pluralità di offerte che il viaggiatore turista troverà su un portale come Booking.com,
Vrbo.com, HomeAway, FriendlyRental, etc. basterà infatti aderire all'offerta accettando il prezzo,
come si fa con la prenotazione di una struttura alberghiera o hotel.
Il vantaggio è su entrambi i fronti, sia dell'ospite che del proprietario locatore: il primo trova un
alloggio comodo a prezzi inferiori di quelli offerti dagli hotel, mentre il secondo può sfruttare
meglio l'immobile mettendolo a reddito per periodi brevi, senza spogliarsi totalmente del
possesso e senza alcun contratto da registrare se la locazione dura a 30 giorni, potendo usufruire
dell'agevolazione fiscale della cedolare secca.
Un altro vantaggio per il proprietario locatore dell'immobile è dato dalla possibilità di variare il
canone di locazione secondo i periodi di alta e bassa stagione o in corrispondenza di eventi di
richiamo turistico.
Il riferimento normativo è un articolo del Codice del Turismo che definisce locazioni turistiche «gli
alloggi locati esclusivamente per finalità turistiche in qualsiasi luogo ubicati» i quali vengono
«regolati dalle disposizioni del codice civile in tema di locazione» [1].
E il fatto che questo tipo di locazione sia sottratto alle norme imperative della nota legge 431/1998
sulle locazioni abitative [2] è già un vantaggio perché rende più agile e libero l'accordo tra
proprietario e inquilino. Si tratta di un accordo che si conclude, come prima detto, semplicemente
con l'accettazione dell'offerta pubblicata su un portale internet da un proprietario. Ma questo alla
condizione che si tratti di periodi non superiori a 30 giorni, occorrendo altrimenti la redazione di un
contratto scritto soggetto a imposta di registro e di bollo.
Occorre ricordare che, per quanto riguarda il canone di locazione, se il prezzo è superiore a 2.999
euro, la modalità di pagamento deve essere tracciabile (assegno, bonifico, carta di credito, etc.) e
questo vale per tutte le tipologie di locazione.

Chiariamo subito che la locazione turistica è diversa dal b&b (bed and breakfast) perché si tratta di mettere a disposizione dell'ospite solo una struttura abitativa senza alcun servizio aggiuntivo. Si deve informare il conduttore, di solito tramite il portale che gestisce l'offerta, che l'appartamento è sprovvisto di servizio di cambio biancheria (al quale l'ospite provvederà da solo trovando i ricambi predisposti dal locatore in un cassetto che gli verrà indicato), e ciò vale anche per gli asciugamani e gli altri accessori per il bagno.
Si può comunque prevedere un compenso per la pulizia (che ha senso per locazioni di almeno una
settimana) e nessuna norma vieta al proprietario di fare convenzioni con il bar vicino o dello stabile
in cui è l'appartamento.
La mancanza nell'offerta di servizi tipicamente alberghieri consente al proprietario di esercitare
l'attività locatizia anche in forma non imprenditoriale. Altrimenti servirebbe aprire una partita Iva,
iscriversi alla Camera di commercio e presentare al Comune una Scia, segnalazione certificata di
inizio attività.
Per quanto riguarda gli adempimenti fiscali dei soggetti che offrono locazioni transitorie in forma
privata (vale a dire non imprenditoriale), osserviamo anzitutto che l'intermediazione di siti come
Booking.com, ad esempio, evita al locatore il disagio di riscuotere il pagamento direttamente
dall'ospite, il quale ha già pagato il prezzo dell'alloggio in anticipo o in percentuale (secondo la
scelta che il proprietario indica sul portale) al momento della prenotazione.
La mancanza di una contrattazione diretta con l'ospite evita al proprietario
anche l'incombenza di rilasciare ricevute e connessi adempimenti fiscali (tra i quali la marca da
bollo di 2 euro qualora il canone superi le 77,47 euro giornaliere). Giova ricordare che il prezzo,
indicato nell'offerta, pagato dall'ospite, non sarà eguale al corrispettivo che si riceve, poiché il
portale Internet trattiene a titolo di commissione una percentuale che va dal 15 al 18 % a carico
del locatore.

Ovviamente l'ospite scaricherà dal portale Internet la ricevuta fiscale dell'importo pagato mentre il
locatore conserverà, più semplicemente, l'estratto bancario con le ricevute di accredito che di solito
gli viene mandato, dalla piattaforma web, per l'indicazione dei guadagni in sede di dichiarazione
dei redditi.
Proprio con riferimento alla dichiarazione dei redditi occorre tener presente che i canoni di
locazione percepiti sono soggetti a tassazione Irpef e vanno indicati - sul modello 730 oppure sul
Modello unico persone fisiche nel caso che si percepisca già un reddito da lavoro autonomo per
il quale è richiesta la partita Iva - nel quadro rb per i redditi fondiari.
Tutti i ricavi percepiti durante l'anno dalla locazione turistica vanno quindi sommati e inseriti quindi
nella casella Rb al quale fa riferimento l'immobile locato. Le spese sostenute (come il costo di
abbonamento, se richiesto, dalla piattaforma Internet di intermediazione oppure la commissione al
portale per l'intermediazione o i costi della pulizia se previsti nell' offerta) non verranno portati in
deduzione se non nella misura del 5% del reddito complessivo e a titolo forfettario (quindi non
elencate e calcolate come nelle locazioni ordinarie).
In alternativa, il regime della cedolare secca è applicabile anche alle locazioni turistiche: in questo
caso viene tassato l'intero guadagno lordo al 100% e nessuna spesa correlata alla locazione
(intermediazione, pulizie, Wi-Fi, etc.) viene portata in deduzione. Questa modalità di tassazione
semplificata giova in genere solo a chi non ha molti oneri da detrarre.
Riassumendo, al momento della dichiarazione dei redditi il locatore indicherà i ricavi derivanti dalla
locazione turistica nel quadro rb del modello unico, al lordo della provvigione del portale web,
beneficiando della detrazione del 5% se sceglie la normale tassazione Irpef.
La casella rb si compone di due distinte righe, una per i giorni in cui l'appartamento è stato locato e
l'altro per i giorni in cui l'immobile è rimasto sfitto. È consigliabile di farsi assistere, nella
compilazione del modello, da un commercialista, essendoci alcuni dati tecnici da indicare tra i
quali la rendita catastale dell'immobile.

Un altro adempimento, questa volta non fiscale, da ricordare è dato dalla comunicazione dei dati
delle persone alloggiate. La Direzione centrale affari generali della Polizia di Stato ha stabilito,
con una circolare interpretativa dello scorso anno, che l'obbligo di comunicazione dei dati delle
persone alloggiate all'autorità di pubblica sicurezza si estende ai locatori privati occasionali [3].
All'interno del sito della Polizia si trova l'area Carta dei servizi per ogni questura territorialmente
competente con i moduli da scaricare e compilare. In questo modo si inseriranno i dati del locatore
e dell'immobile ottenendo le credenziali di accesso al portale. Si scaricherà quindi il certificato
digitale di sicurezza sul proprio computer per poter comunicare di volta in volta i nominativi degli
ospiti.
Sappiamo ora che l'esercizio di un attività saltuaria e di tipo non commerciale, non richiede la
comunicazione Scia. Tuttavia alcune leggi regionali prevedono che il locatore debba
specificamente segnalare di esercitare tale attività in modo non imprenditoriale. Si tratta in
sostanza di una segnalazione certificata d'inizio di attività non imprenditoriale, da inoltrare
secondo le istruzioni che appaiono sul portale web del Comune o altrimenti, in modalità non
telematica, presentando l'apposito modulo compilato allo sportello delle attività produttive. Le
regioni per le quali è prevista tale comunicazione sono: Abruzzo, Emilia Romagna, Lazio, Liguria,
Lombardia, Sardegna, Veneto.
Con riferimento in particolare alla Regione Lombardia questa comunicazione [4] è un passaggio
obbligato per ottenere il rilascio delle credenziali al sistema di pagamento dell'imposta di
soggiorno. Alcuni Comuni, infatti, come quello di Milano, prevedono un'imposta comunale di
soggiorno che contribuisce al finanziamento degli interventi intesi a preservare il patrimonio storico-culturale della città e migliorare i servizi offerti ai turisti.

Nell'ultimo aggiornamento di quest'anno del Regolamento dell'imposta comunale di soggiorno nella
città di Milano [5] viene stabilito che a partire dal 21 aprile 2016 la dichiarazione dei gestori di
strutture ricettive, tra i quali anche i locatori privati non esercenti attività imprenditoriale, hanno
l'obbligo di inoltrare al Comune la rendicontazione esclusivamente in modalità telematica tramite
tale applicativo.

Note:
[1] Art. 53 del Codice del Turismo (D. Lgs. 23. 5.2011 n. 79)
[2] Legge. 9.12.1998 n. 431 Disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso
abitativo
[3] Circolare n. 0004023 del 26 giugno 2015. L’art. 109 TULPS Testo unico delle leggi di pubblica
sicurezza prevede la comunicazione all’autorità locale di p.s. delle generalità delle persone
alloggiate, ora anche con mezzi informatici e telematici.
[4] Prevista dall’art. 38 della legge regionale 1 ottobre 2015 n. 27.
[5] Art. 9. aggiornato con deliberazione del Consiglio comunale n. 13 del 7 marzo 2016.
Powered by TCPDF (www.tcpdf.org)

Fonte: La Legge per Tutti
Autore : Giovanni Bonomo
Data: 14/11/2016

mercoledì 17 maggio 2017

Host: affittare una stanza è legale?


Tra le forme di sharing economy spopola quella di accogliere turisti in casa per brevi
periodi. Airbnb conviene? E quali sono i vincoli da rispettare?

Una volta si diceva “arrotondare”. Ora, nell’era della sharing economy, dell’economia condivisa,
si chiama “integrare il reddito”. Ma l’obiettivo è sempre lo stesso: vedere alla fine del mese il
proprio conto corrente un po’ più cospicuo. Per campare, per tappare qualche buco o per
concedersi qualche capriccio in più.
L’ingegno e la necessità di fare qualche soldo in più senza troppa fatica hanno inventato,
sviluppato e portato al successo grazie a Internet la sharing economy: si condivide l’auto per
andare al lavoro, la tavola su cui servire la cena a dei perfetti sconosciuti ad un prezzo ragionevole
e si affitta a chi è di passaggio la stanza del figlio che studia fuori sede o degli ospiti che
diventano, a questo punto, a pagamento. A quest’ultima categoria appartengono i cosiddetti host,
cioè gli ospitanti, i riceventi. Solo che in inglese suona meglio, come sharing economy, come tutto
ciò che si fa in rete. Alcuni operano per conto proprio, altri si appoggiano ad una piattaforma
online (la più nota è Airbnb).
A grande invenzione, però, grande polemica. Gli albergatori, quelli tradizionali, hanno sentito il
colpo. Si chiedono se questo sistema di accoglienza in casa sia del tutto legale. In effetti, non c’è
una legge che vieti di farlo. A patto, però, che vengano rispettati certi vincoli (tra cui quello di
pagare le tasse sull’incasso, ovviamente). Vediamoli.

Diventare host: i vincoli legali
Il primo passo da fare per sapere se diventare host è legale è quello di informarsi sui vincoli del
proprio comune in materia. Ogni municipio, infatti, detta le sue condizioni per quanto riguarda la
locazione immobiliare di breve durata destinata ai turisti. I vicini di casa o il quartiere, infatti,
potrebbero risentire del continuo viavai di persone e presentare qualche lamentela negli uffici
comunali. Piuttosto, se richiesta, meglio pagare una piccola tassa anziché una sanzione
amministrativa.
Inoltre, se l’immobile che si vuole mettere a disposizione degli ospiti non è di proprietà, c’è da
interpellare il padrone di casa per sapere se ha qualcosa in contrario al subaffitto di un locale,
soprattutto se il contratto di locazione non lo prevede o, peggio ancora, lo vieta. Se il proprietario
non fosse informato e venisse a saperlo per caso, il rischio è quello di perdere il contratto di
affitto in anticipo e di dover, comunque, pagare il resto dei canoni.
Altro aspetto da non sottovalutare per diventare un host legale è quello assicurativo. Non si può
escludere, infatti, che gli ospiti restino qualche volta vittime di un incidente o di un infortunio. E che
pretendano di essere tutelati. Non basta l’assicurazione sul locale o sulla casa: meglio una
polizza che copra la responsabilità civile e che risponda sia per il danno all’ospite sia per quello
che l’ospite stesso può provocare a terzi.
Senza mettere in dubbio la correttezza di chi bussa a casa dell’host, il danno involontario può
sempre scappare. Non guasta, a questo punto, chiedere una cauzione all’ospite da restituire alla
fine del suo soggiorno, considerato che l’host ha 48 ore di tempo per verificare eventuali danni e
chiedere un rimborso.

Diventare host: i vincoli fiscali
Entrare a far parte della sharing economy e diventare host è legale soprattutto se si pagano le
tasse. Oltre a quelle, per così dire, abituali in base al reddito prodotto da questa attività, non
bisogna dimenticare la tassa di soggiorno. Un’imposta che tutte le strutture ricettive incassano
dai propri ospiti e che poi va versata al comune, il quale, teoricamente, la utilizza per finanziare
interventi finalizzati al turismo. In alcuni comuni esiste un accordo con le piattaforme online che
gestiscono le attività di host. Chi, invece, opera per conto proprio farebbe bene ad informarsi
presso la propria amministrazione comunale sulle modalità e l’ammontare di questa tassa.
Chi vuole diventare host deve anche ricordare che c’è una legge che permette la locazione
turistica, da stipulare mediante scrittura privata, per un massimo di un mese [1]. Per questi 30
giorni non si applica la cedolare secca sugli affitti, quindi chi mette a disposizione la camera della
sua casa non deve pagare delle tasse aggiuntive.

Diventare host: come funziona Airbnb
Chi sceglie di appoggiarsi a una piattaforma online (sia per diventare host, sia per trovare una
camera in affitto per qualche giorno) deve conoscere bene le regole. Patti chiari, amicizia lunga,
insomma. E più lunga è l’amicizia, più ci sarà convenienza per tutti.
Come accennato, la piattaforma per eccellenza per questo servizio è Airbnb che, in alcuni aspetti,
viene in soccorso dei suoi iscritti e, in altri, lascia che siano i suoi host a sbrigarsi i problemi.
Si comincia da un’inserzione gratuita sulla piattaforma online, in cui vengono descritte le
caratteristiche del locale (o dei locali) da affittare: posizione, servizi e quant’altro. Più foto si
mettono (magari fatte bene, ma senza barare) più successo si ottiene. L’host, infatti, è tenuto a
rispettare degli standard sull’ospitalità in fatto di pulizia e di funzionamento delle
apparecchiature messe a disposizione degli ospiti. Ecco perché mostrare una cosa e poi far
trovare un’altra sarebbe controproducente, oltre che illegale.
Ottenuto quel successo, cioè avuta la conferma che un ospite vuole affittare la camera, l’host deve
rispondere entro 24 ore. Ad avvenuta risposta, parte il pagamento e viene inviata un’e-mail con la
ricevuta. L’addebito da parte di Airbnb all’host viene effettuato online entro 24 ore dal momento in
cui il turista effettua il check in. Il costo del servizio addebitato all’host è del 3% + Iva per ogni
prenotazione portata a termine. Il costo del servizio addebitato all’ospite va dal 6 al 18% + Iva.
Dicevamo prima della necessità di un’assicurazione. La piattaforma rimborsa danni fino a 700
euro, ma non copre contanti e titoli, animali, responsabilità civile e aree comuni condivise.
Insomma, forse meglio rivolgersi ad una compagnia di assicurazioni e sentire un parere per evitare
brutte sorprese. Inoltre, per motivi di privacy, se gli host avessero delle telecamere di sicurezza, gli
ospiti devono esserne a conoscenza. Tutto sommato, basta il solito cartello della «zona
videosorvegliata, nel rispetto della privacy, garantita da Tizio Caio».

La piattaforma non mette dei vincoli sui prezzi, che variano a seconda della città o dei servizi che
offre. Ovviamente, affittare una camera in un condominio di periferia non è come affittare una
camera in un ridente quartiere dove sorge una villa con piscina.

Nota bene: i più determinati, quelli che decidono di affittare l’intera casa per un breve periodo di
tempo in occasione di un grande evento (la Settimana della moda di Milano, il Festival del cinema
di Roma, la Biennale di Venezia…) possono trovare online delle piattaforme su cui chiedere
ospitalità mentre affittano la propria casa. Verrebbe da dire: attuare a 360 gradi la Sharing
economy . O meglio: l’economia condivisa. Suona bene anche in italiano.

Note:
[1] Legge 431/1998.

Fonte: La Legge per Tutti
Autore : Carlos Arija Garcia
Data: 11/10/2016

martedì 16 maggio 2017

Come calcolare il valore di una casa



Superficie utile o commerciale, pertinenze, giardino, balconi o terrazzi: cosa

determina la struttura di una casa e come influisce nel suo valore di mercato?

Come si determina la struttura di una casa:
Partiamo dalle cose (apparentemente) più banali, cioè dalla collocazione e dalla conformazione
della casa. Può essere ubicata all’interno di un edificio (un condominio, insomma) oppure può
essere isolata come abitazione unifamiliare (un villino, una villa). Questo è già un primo elemento
per sapere come calcolare il valore di una casa. C’è, poi, da valutare la sua struttura: i vani
principali con illuminazione naturale diretta, i vani accessori diretti e le pertinenze. I primi sono la
cucina, la sala, le camere. I secondi sono il bagno (per quanto non se ne possa fare a meno non
viene considerato un vano principale), eventuale ripostiglio, ingresso, corridoio e simili. Infine, le
pertinenze, che possono essere di due tipi:

  1. pertinenze esclusive di ornamento (terrazze, balconi, cortile, giardino, ecc.);
  2. pertinenze a servizio dei vani principali (cantina, solaio, locale magazzino, ecc.).

Per calcolare il valore della casa, queste pertinenze vanno distinte in pertinenze direttamente
comunicanti con i vani principali e non comunicanti. Ad esempio, se il locale magazzino è staccato
dall’immobile oppure è raggiungibile da una scala interna.
Altro elemento fondamentale per sapere come calcolare il valore di una casa è quello della
superficie commerciale, chiamata anche superficie utile quando si tratta l’acquisto o la vendita di
una casa. Si determina misurando la superficie dell’unità immobiliare al lordo delle murature
interne ed esterne perimetrali. Quello che di solito viene chiamata superficie calpestabili (sulla
quale anche i mobili «calpestano», ovviamente). Le murature esterne vanno calcolate fino alla
mezzeria se ci sono delle parti ad uso comune o se c’è un’altra unità immobiliare confinante.
Ecco come si determina la superficie di una casa per calcolare il valore commerciale:

  • quella dei vani principali e degli accessori diretti (vedi sopra) con un’altezza utile non superiore a 1,50 metri non rientra nel computo della superficie, salvo particolari esigenze architettoniche che si valutano caso per caso;
  • le rientranze, le sporgenze ed i profili non sono computabili, a meno che la loro superficie non sia fruibile (un vano in sala tra due pilastri dove inserire una poltroncina, ad esempio);
  • nelle le case con due o più piani, i collegamenti verticali interni (le scale) vanno calcolati in misura pari alla loro proiezione orizzontale.

Non vanno invece calcolate nella quota di proporzione delle singoli abitazioni le scale esterne, i
pianerottoli, le superfici ad uso comune, i locali tecnici (dove, ad esempio, è collocata la caldaia
centralizzata del condominio), giardini ad uso comune, ecc.

Calcolare il valore di una casa in un edificio ad uso residenziale:
Il Ministero del lavoro, attraverso l’Osservatorio sul patrimonio immobiliare, detta queste linee
guida da tenere in considerazione per calcolare il valore di una casa:
applicare il metodo comparativo dopo aver consultato le opportune indagini di mercato,
compresa quella pubblicata periodicamente dal Ministero delle finanze;
calcolare al 100% i muri esterni ed interni ed al 50% i muri di separazione con parti comuni
e con le abitazioni contigue (il muro verso la scala esterna, il muro del vicino);
tenere conto dei coefficienti di ragguaglio delle superfici di cantine, soffitti, balconi, terrazzi,
cortili o androni ad uso esclusivo, posto macchina o box;
non valutare mai le parti comuni;
calcolare i coefficienti di vetustà (quanto è vecchia la casa, insomma), di adeguamento
tecnologico (hai l’Adsl o il Wi-fi? Hai un termostato per la caldaia o il riscaldamento a
pedali? Hai un sistema di allarme o un pitbull?), il livello di piano (porta su la spesa al sesto
piano senza ascensore quando avrai 60 anni…), la vista panoramica ed il comfort (sei sopra
un pub o in aperta campagna?);
tenere conto delle rifiniture e della manutenzione della casa.

Calcolare il valore di una casa senza pertinenze accessorie e di ornamento:
Questo è il caso di un immobile senza balconi, terrazze, solaio o cantina. Il tipico appartamento di
condominio con ingresso, cucina, bagno, sala e un paio di camere. E basta. Giusto per capirci. In
questa realtà, come calcolare il valore della casa?
Il computo della superficie commerciale viene dato da questi fattori:

  • il 100% delle superfici calpestabili;
  • il 100% delle pareti divisorie interne con uno spessore massimo di 50 centimetri;
  • il 100% delle pareti perimetrali esterne non comuni e di spessore non superiore a 50 centimetri;
  • il 50% delle pareti perimetrali in comune.
In altre parole, la superficie coperta corrisponde alla superficie commerciale. Null’altro da
aggiungere perché non ce n’è.

Calcolare il valore di una casa con pertinenze accessorie e di ornamento:
Qui, ovviamente, entrano in gioco balconi, giardini, terrazzi e quant’altro è fuori il perimetro della
superficie utile interna della casa, ma che la rendono più appetibile agli occhi di un potenziale
compratore. Vediamo come calcolare il valore dell’immobile in questo caso.
Per queste pertinenze non viene calcolato, di solito, il valore al metro quadro ma la loro superficie
effettiva attraverso dei coefficienti correttivi. Così, il balcone o il terrazzo verrà misurato fino al
contorno esterno ed il giardino o l’area esterna ad uso esclusivo saranno valutati fino al confine di
proprietà. Tanto è tuo, tanto te lo considero.
Se la parte interna è A e la parte esterna (pertinenze) è B, A+B fa C. Dove per C si intende la
superficie complessiva dell’appartamento, sulla quale si calcola il valore della casa.
Come calcolare il valore in una singola casa
Fin qui il calcolo del valore di una casa ubicata in un edificio o in un complesso residenziale ma,
comunque, con delle parti comuni. Come calcolare il valore di una casa che, invece, è di tipo
unifamiliare?
Prima, però, bisogna distinguere tra i vari tipi di immobile unifamiliare, ovvero tra quelli che
vengono definite «intero edificio» a livello commerciale: il villino e la villa. Chi vuole gasarsi un po’
mescola i termini ma, quando si tratta di vendere o di acquistare, la differenza c’è eccome.
Da definizione ufficiale, il villino è «la costruzione isolata con affaccio su tutti i lati, composta da
uno o più piani e circondata da area sistemata a giardino».
La villa, invece, è «la costruzione isolata con affaccio su tutti i lati, composta da uno o più piani di
notevole consistenza e architettura di pregio, circondata da area sistemata a parco (giardino con
piante ad alto fusto, viali con aree di sosta arredate, fontane monumentali, ecc.).»
Vediamo allora come calcolare il valore di una casa di questa categoria.

La superficie complessiva commerciale o utile si ottiene sommando quella dei vani principali e
degli accessori diretti più quella omogeneizzata delle pertinenze di uso esclusivo.
Alt, un momento: che cosa vuol dire una superficie omogeneizzata delle pertinenze? Significa
l’insieme delle superfici scoperte, di ornamento, dei locali a servizio e l’unità immobiliare vera e
propria. Come si calcola?
Per quanto riguarda la superficie scoperta a giardino o simili:

  • al 10% della superficie fino al quintuplo di quella coperta dell’unità immobiliare;
  • al 2% per le superfici che eccedono questo limite sui vani principali e su quelli a servizio diretto (bagno, ripostiglio, ecc.).

Sui balconi o terrazzi:

  • se sono comunicanti con i vani principali e accessori, vengono calcolati nella misura del 30% fino a 25 metri quadri e del 10% per più di 25 metri quadri;
  • se non sono comunicanti, le percentuali di stima si dimezzano (15% e 5%).

Tutte queste percentuali, stime e misurazioni possono cambiare il valore di una casa.
Naturalmente a tutto ciò si aggiunge la posizione: vista lago non è come vista stabilimento
industriale. Ma qui subentra la parte soggettiva. Su quella oggettiva ora siete informati.

Note:
[1] DPR 138/98.

Fonte: La Legge per Tutti
Autore : Carlos Arija Garcia
Data: 13/10/2016

lunedì 15 maggio 2017

Affitto o acquisto casa su internet: le truffe



Finti affitti e compravendite: quali sono le truffe online più diffuse sugli acquisti e
sulle locazioni di immobili, come difendersi e denunciare l’accaduto

Avevi prenotato la casa per le vacanze ideale ad un prezzo molto conveniente, ma arrivato a
destinazione hai scoperto che non c’era nessuna casa, o che il proprietario era ignaro di tutto?
Oppure hai versato una consistente caparra per l’acquisto di un immobile inesistente, o
appartenente a una persona diversa dal venditore?
Purtroppo non sei l’unico: le truffe online che riguardano la compravendita di immobili e gli
affitti sono sempre più diffuse e attuate attraverso modalità differenti. In questo breve vademecum,
vediamo quali sono le truffe più utilizzate e come difendersi e denunciare i criminali.

Affitto: la truffa della chiave da spedire
Per quanto riguarda l’affitto di un’abitazione, una delle truffe più utilizzate è senza dubbio la
cosiddetta «truffa della chiave da spedire».
In questa truffa, il finto locatore dell’appartamento (cioè chi dovrebbe affittarlo) è una persona che
risiede all’estero: il costo del canone è molto conveniente, l’appartamento è in una posizione
appetibile e appare negli annunci online in ottime condizioni. C’è un problema, però: essendo il
proprietario all’estero, è necessario recarsi da lui, in Inghilterra, in Francia o in un Paese ancora
più lontano, per ottenere le chiavi e vedere l’appartamento. Se non è possibile recarsi all’estero
per prendere le chiavi (a chi converrebbe fare un viaggio così lontano e spendere per un biglietto
aereo solo per prendere un paio di chiavi?), il proprietario le spedisce tramite un’agenzia. Il
proprietario, però, per spedire le chiavi vuole una garanzia, solitamente consistente in tre mesi di
affitto, garantendo che se l’appartamento non piace i soldi saranno immediatamente restituiti: e
qui scatta la truffa, perché la malcapitata vittima, a fronte del trasferimento di denaro, non
riceverà mai le chiavi, né vedrà alcun appartamento.
Spesso il truffatore chiede di inviare i soldi tramite canali difficilmente tracciabili, come Money
Gram. Naturalmente, per difendersi da questo tipo di truffe, basta non versare un euro se prima
non si vede l’appartamento e non ci si è assicurati della sua proprietà effettiva.

Truffa della casa-vacanze
Ancora più semplice è la truffa della casa-vacanze, proprio in quanto si tratta dell’affitto concluso
a distanza “per eccellenza”: in questa truffa, l’ignara vittima versa i soldi per prenotare, per le
vacanze, un appartamento che non esiste, oppure occupato da altre persone. Per evitare di cadere
in trappole simili, è bene rivolgersi a piattaforme web che adoperino un serio sistema di verifica
degli utenti, come Booking o Homelidays e pagare con metodi sicuri, come Paypal, che
garantisce il rimborso alle vittime di una truffa.

Truffa sull’acquisto della casa
Più complesse da scoprire, ma senz’altro più dannose, in quanto attraverso questi raggiri possono
essere carpite cifre ingenti, sono le truffe sull’acquisto di un immobile.
Si va dalla vendita di una casa inesistente o appartenente a terzi ignari di tutto, alla vendita di una
nuda proprietà senza informare della presenza dell’usufruttuario, alla vendita di un immobile
gravato da ipoteche, servitù o vincoli, o con abusi edilizi non sanati.

Per evitare le truffe sull’acquisto dell’immobile, è bene seguire questi consigli:

  • innanzitutto, accertarsi di parlare col reale proprietario; se chi si occupa delle trattative è un agente immobiliare, bisogna chiedere di visionare il mandato;
  • è poi indispensabile visitare la casa, anche in presenza di professionisti di fiducia, come geometri, ingegneri, architetti, per rendersi conto dello stato in cui si trova l’immobile e della necessità, o meno, di eseguire una ristrutturazione o altri lavori;
  • per accertarsi della reale proprietà della casa non basta visitarla in prima persona, ma è opportuno richiedere una visura ipotecaria, o ipo-catastale; la visura catastale, difatti, potrebbe non essere aggiornata, mentre la visura ipotecaria indica il reale proprietario (o la presenza di più proprietari), la presenza di ipoteche, gravami, iscrizioni o trascrizioni pregiudizievoli;
  • per verificare la corrispondenza o eventuali differenze relative a tramezzi interni, porte, finestre, terrazze e riguardo alla destinazione dei vani, è necessario richiedere la planimetria catastale e confrontarla con lo stato dei luoghi;
  • infine, è consigliabile richiedere una visura catastale storica per immobile (sono necessari i dati catastali dell’immobile come foglio, mappale o particella, subalterno) che evidenzi tutti i trasferimenti e le modifiche che hanno riguardato l’immobile nei 20 anni precedenti.

Truffe sull’acquisto e l’affitto online della casa: i reati
In base alla normativa penale, le truffe sull’acquisto e sull’affitto online di un immobile possono
corrispondere a diverse tipologie di reato:
truffa contrattuale mediante artifizi e raggiri [1]: appartengono a questa categoria le
truffe poste in essere su piattaforme web, nelle quali si richiede il pagamento di un acconto
o di una caparra, a fronte di un immobile inesistente o di terzi;
nel caso in cui si venda o si affitti un immobile di terzi, si realizza anche il reato di
sostituzione di persona [2];
infine, parliamo di frode informatica [3], quando il reato avviene tramite la manipolazione
del sistema informatico (utilizzo di credenziali altrui, indebito utilizzo di carte di credito e
fattispecie simili).

Truffe sull’acquisto e l’affitto online della casa: come denunciarle
Spesso le truffe online restano impunite, in quanto i criminali puntano a carpire cifre poco elevate
per coinvolgere un maggior numero di vittime. Per la vittima, dunque, può risultare poco
conveniente presentare una denuncia o una querela ed affrontare i costi del successivo
procedimento.
Se si decide, comunque, di denunciare l’accaduto, bisogna sapere che, per ogni truffa online nel
commercio elettronico, il tribunale competente è quello del luogo in cui l’autore della truffa
incassa l’ingiusto profitto (domicilio del creditore virtuale), trattandosi di delitto istantaneo di
danno ed essendo irrilevante il luogo di residenza del danneggiato o il luogo in cui è effettuato
l’indebito pagamento [4].
Se i pagamenti vengono effettuati a favore di una cosiddetta banca online, priva di agenzie
territoriali, il tribunale competente è quello del luogo della residenza dell’indagato [5].

Note:
[1] Art. 640 Cod.Pen.
[2] Art. 494 Cod. Pen.
[3] Art. 640 ter Cod. Pen.
[4] Art. 8 Cod. Pen.



Fonte: La Legge per Tutti
Autore : Noemi Secci
Data: 17/11/2016

martedì 9 maggio 2017

Conviene comprare casa?

Il mercato immobiliare è ai minimi da diversi anni e sono in molti a credere che comprare casa nel 2017 sia una scelta vantaggiosa…

Secondo i dati dell’osservatorio immobiliare.it il prezzo degli immobili è in calo.
In un solo anno, da gennaio 2014 a gennaio 2015, il costo a metro quadro è calato del 5,99%. Un trend che ci ha accompagnato per tutto il 2016 e che, quindi, oggi, fa sì che sia un buon momento per comprare casa. Stando alla percentuale di proprietari (73%), l’ Italia è la Nazione Europea che investe di più su immobili, soprattutto se la confrontiamo con la Francia (65%), la Germania (52%) o la Svizzera (44%).
Secondo questi dati, se si ha denaro disponibile adesso è il momento migliore per acquistare a prezzi bassi.
Conviene comprare casa
Ma investire nel mattone rappresenta davvero una scelta intelligente? Nell’era dell’iperinflazione lo è stata senza dubbio specie in Italia dove la rivalutazione nominale media annuale degli immobili è stata pari al 21,3%. Quindi la scelta dipende da diverse motivazioni: forma di investimento che è stata una vera manna dal cielo con i prezzi ai minimi e soprattutto se si ha quasi l’assoluta certezza di fare un buon affare come in zone centrali dove gli immobili qualche anno fa toccavano prezzi anche milionari; uso abitativo dove il problema sono le banche restie a concedere nuovi mutui.
Dati alla mano, con un’inflazione bassa l’investimento nel mattone dà risultati deludenti: in Italia a partire dal 1992, ossia da quando l’inflazione annuale è scesa stabilmente sotto al livello del 5%, la crescita annuale media dei prezzi immobiliari è stata del 2,6% e il rendimento annuale medio basso come, del resto anche all’estero…




Meglio l’acquisto o l’affitto?
L’economista Nicola Zanella, in un’approfondita analisi su YouInvest.org, è arrivato a dichiarare che l’affitto rappresenta un costo più che controbilanciato dal fatto che questa scelta permette di mantenere una più alta capacità di risparmio e di investire i risparmi in beni con un profilo rischio/rendimento differenti da quelli degli immobili e magari migliori.
In conclusione, per l’acquisto ci sono dei vantaggi quali immobile di proprietà, denaro dell’affitto risparmiato e quindi non perso, una casa modellabile a proprio gusto. Ma anche dei piccoli svantaggi quali pagare tutte le tasse sulla casa.
Dunque per concludere la decisione finale sulla casa è assolutamente personale, dove pesano tanti fattori come quelli affettivi e soprattutto di status socio-economico difficilmente misurabili.

venerdì 5 maggio 2017

Determinazione del canone di locazione immobiliare e aggiornamento con Indici ISTAT

In questo articolo, alla luce delle norme di cui alla L. 431/1998, di quelle
ancora vigenti di cui alla L. 392/1978 e del Codice civile, analizziamo la
disciplina relativa alla durata del contratto di locazione immobiliare, alla
determinazione del canone ed al suo aggiornamento tramite gli Indici
ISTAT, con le tabelle complete di questi ultimi e diversi esempi pratici di
calcolo. Il tutto con riferimento alle locazioni abitative, anche quelle
eventualmente ancora stipulate nel regime dell’ormai abrogato “equo
canone”, ed alle locazioni di immobili ad uso diverso.
La determinazione, l’entità e l’aggiornamento periodico del canone per i contratti di locazione immobiliare, nonché la durata
dei contratti stessi ed altri aspetti di dettaglio sono disciplinati:
- per i contratti aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo:
- dalla L. 09/12/1998, n. 431, in vigore dal 30/12/1998, che a sua volta ha abrogato, limitatamente alle locazioni abitative,
buona parte della precedente L. 27/07/1978, n. 392 (c.d. “legge sull’equo canone”);
- dai residui articoli ancora vigenti della L. 392/1978;
- per tutti gli aspetti non definiti dalle leggi speciali sopra menzionate, dalle norme del Codice civile in tema di contratti di
locazione (Libro IV, Titolo III, Capo VI, artt. 1571-1654).
- per i contratti aventi ad oggetto immobili ad uso diverso da quello abitativo:
- dalle norme ancora vigenti di cui alla L. 392/1978;
- per tutti gli aspetti non definiti dalla legge speciale, dai già menzionati articoli del Codice civile.
In questo articolo analizziamo la disciplina relativa alla durata, alla determinazione del canone ed al suo aggiornamento
tramite gli Indici ISTAT, con le tabelle complete di questi ultimi e diversi esempi pratici di calcolo. Il tutto con riferimento alle
locazioni abitative, anche quelle eventualmente ancora stipulate nel regime dell’ormai abrogato “equo canone”, ed alle
locazioni di immobili ad uso diverso.








DETERMINAZIONE DEL CANONE PER LE LOCAZIONI
L’equo canone per le locazioni abitative
Che cosa è l’equo canone
Si definisce “equo canone” il canone di locazione di immobili ad uso abitativo quantificato secondo parametri stabiliti per
legge. La determinazione dell’equo canone degli immobili è regolata dalla L. 27/07/1978, n. 392, ed in particolare dagli
articoli da 12 a 26, successivamente abrogati con decorrenza dal 30/12/1998 dalla L. 09/12/1998, n. 431.
L’equo canone, e le relative modalità per la sua determinazione di seguito illustrate, si applica pertanto unicamente ai
contratti stipulati prima della data di entrata in vigore della L. 431/1998 (compresi eventuali rinnovi e proroghe [N=1]), per la
loro intera durata, ed ai giudizi in corso alla medesima data.
L’art. 11, comma 1, del D.L. 11/07/1992, n. 333 (convertito in legge dalla L. 08/08/1992, n. 359), ha peraltro stabilito che le
disposizioni concernenti l’equo canone degli immobili adibiti ad uso di abitazione non si applicano ai contratti stipulati
successivamente alla data di entrata in vigore della medesima legge (11/07/1992) ed aventi ad oggetto immobili ultimati dopo
tale data.

mercoledì 3 maggio 2017

PROVENIENZA DONATIVA: OBBLIGO DI INFORMAZIONE

PROVENIENZA DONATIVA: OBBLIGO DI INFORMAZIONE
Non è una novità l'interesse della giurisprudenza per il caso di provenienza per donazione di un immobile
posto in vendita e per il conseguente obbligo di informativa in capo all'agente immobiliare.1 Una
recentissima pronuncia del Tribunale di Monza (Sentenza n. 414 del 2017) ha spostato in alto l'assicella. In
primo luogo, la sentenza ha ribadito nuovamente l’obbligo per l’agente immobiliare di evidenziare alle parti
la provenienza donativa dell’immobile intermediato.
Riprendendo le parole del Tribunale: “Sussiste l'obbligo del mediatore, sancito dall'articolo 1759 c.c., di
comunicare alle parti le circostanze a lui note, relative alla valutazione e alla sicurezza dell'affare, che
possono influire sulla conclusione di esso. E' certo che la provenienza donativa di un immobile, costituisce
una circostanza assai rilevante ai fini sopra indicati (…). Deve dunque ritenersi che la comunicazione
preventiva di tale circostanza costituisca obbligo del mediatore”.
La novità espressa dalla predetta sentenza è che, secondo il Tribunale, l’obbligo di informazione del
mediatore non si esaurisca con la mera comunicazione della tipologia di provenienza dell’immobile, bensì
che sia “necessario che siano anche prospettati in modo puntuale i possibili inconvenienti futuri che tale
provenienza potrebbe comportare”.
In altre parole, secondo la citata giurisprudenza, l’agente immobiliare deve prospettare alle parti, ed in
particolare modo all’acquirente, quali conseguenze possano derivare da tale provenienza al fine di
“consentire all’acquirente di valutare realmente il valore e la sicurezza dell’affare”.
Come noto, le donazioni di immobili sono numericamente molto aumentate negli ultimi quindici anni, da
quando il legislatore ha favorito fiscalmente questa modalità di circolazione degli immobili, dapprima con la
Legge n. 283/2001 che ha soppresso l'imposta di successione e successivamente con la Legge 286/2006, che
ha reinserito tali imposte, ma con ma un meccanismo di tassazione più favorevole rispetto al passato.
Cosa fare quindi quando si è in presenza di un immobile con provenienza donativa ?
1 Incorre in responsabilità e nel conseguente onere risarcitorio il mediatore che, in violazione dell'art. 1759 c.c., non
provveda ad informare il promissario acquirente, pur essendone a conoscenza, della provenienza del bene oggetto
della proposta irrevocabile di acquisto da donazione. Siffatta provenienza, invero, è nella prassi bancaria ostativa alla
concessione di finanziamenti ipotecari, poiché concreta la possibilità, anche a distanza di molti anni dal finanziamento,
della perdita della proprietà da parte dell'acquirente in conseguenza dell'esercizio dell'azione di riduzione da parte di
eredi pretermessi. La circostanza di cui innanzi, la quale di fatto comporta oggettivamente una riduzione del valore di
mercato del bene immobile, era pacificamente nota al mediatore, ed è stata dolosamente taciuta agli acquirenti, sia da
parte del mediatore stesso che da parte dei venditori, avendone gli attori appreso notizia solamente dal notaio
incaricato del rogito, in epoca successiva alla sottoscrizione dell'offerta irrevocabile d'acquisto. Ne consegue la
responsabilità solidale al risarcimento del danno subito dai promissari acquirenti (odierni attori) in capo ai promissari
alienanti ed al mediatore, il quale ultimo sarà tenuto, altresì, alla restituzione della somma ad esso corrisposta a titolo
di compenso e garanzia all'impegno oltre interessi legali. (Trib. Padova Sez. II, 12/04/2010)




Vediamo in sintesi quali possano essere i rischi per l’acquirente, in caso di acquisto di immobile con tale
provenienza, e quindi cosa si debba riferire allo stesso, per adempiere correttamente all’obbligo di
informazione, previsto dall’art. 1759 cod. civ.
A volte si tende, superficialmente, a identificare le conseguenze negative dell'acquisto dell'immobile con
provenienza donativa, solo nella difficoltà di commercializzarlo, per problemi di accesso ai mutui. In realtà,
le conseguenze negative per l'acquirente possono essere enormemente più gravi. Qualora, dopo il decesso
del donante, dovesse verificarsi l'ipotesi che sarà a breve analizzata, mentre una banca, che avesse concesso
un mutuo garantito dall'immobile proveniente da donazione, rischierebbe di perdere la garanzia del proprio
credito (pur mantenendo quest'ultimo intatto nei confronti del proprio cliente), l'acquirente rischierebbe di
farsi portare via l'immobile o doverlo pagare una seconda volta. Come si vede, un rischio di tutt'altra
portata. Oltretutto, per una banca la concessione di un mutuo è una operazione di routine, mentre
l'acquirente potrebbe avere investito tutti i suoi risparmi o la parte più rilevante del suo patrimonio.
Procediamo con l'analisi.
Dopo il decesso del donante, le donazioni dal medesimo eseguite in vita vanno fittiziamente inserite
(collazione) nel computo del suo patrimonio al momento dell’apertura della successione (asse ereditario).Si
può quindi manifestare il rischio che i legittimari (art. 536 c.c. : coniuge, figli legittimi, figli naturali,
ascendenti legittimi), qualora lesi nella loro quota di legittima, chiedano di ridurre le donazioni il cui valore
eccedeva la quota di cui il defunto poteva disporre liberamente (c.d. azione di riduzione). Il donatario (il
soggetto che aveva ricevuto la donazione), esercitata con successo nei suoi confronti l'azione di riduzione, è
tenuto a restituire in natura (c.d. azione di restituzione) l'immobile, salvi i casi eccezionalmente previsti
dall'art. 560, commi 2° e 3°, cod. civ..
Qualora il donatario, contro il quale sia stata pronunziata la riduzione della donazione, avesse venduto a
terzi l'immobile oggetto della donazione (questo è il caso che ci interessa), il legittimario, previa escussione
infruttuosa dei beni del donatario, può chiedere la restituzione dell'immobile al successivo acquirente;
quest’ultimo, a differenza del donatario, in luogo della restituzione del bene, ha sempre la facoltà,
riconosciutagli dalla legge, di sostituire lo stesso con una somma di denaro, corrispondente al valore
dell’immobile al momento dell’apertura della successione (e non alla data della donazione). È facile vedere
come la situazione dell'acquirente sia, in tale ipotesi, disastrosa: si troverebbe tenuto a restituire l'immobile
acquistato o, sostanzialmente, a pagarlo una seconda volta, quando, condizione necessaria affinché il
legittimario possa agire nei suoi confronti, il donatario deve precedentemente essersi dimostrato insolvente
nei confronti del legittimario: conseguentemente, le chance per il terzo acquirente escusso di agire con
successo in regresso nei confronti del proprio venditore/donatario sono vicine allo zero.
È opportuno precisare che:
- la lesione o meno dei diritti dei legittimari può essere verificata solo successivamente alla morte del donante,
in quanto sino a tale momento non è possibile conoscere, né prevedere, quale sarà il valore e la
consistenza del relictum (asse ereditario), come non è possibile sapere quali e quanti saranno i legittimari
(i legittimari potrebbero non esserci, così come potrebbero essere più o meno numerosi di quelli
esistenti al momento della donazione e/o della compravendita successiva del bene già oggetto di donazione
– si pensi ad un nuovo matrimonio del donante, ovvero alla nascita o adozione di figli, o addirittura
potrebbero manifestarsi anche successivamente all’apertura della successione – si pensi all’ipotesi
del figlio naturale che chieda il riconoscimento di paternità dopo il decesso del de cuius);
- i legittimari non possono in alcun modo rinunciare all’azione di riduzione in costanza di vita del de cuius,
ex art. 557 c.c. (è nullo qualsiasi atto volto ad aggirare tale disposizione di legge per contrarietà a norma
di legge);
- nessuna certezza si può quindi avere dell’assenza di questa azione di riduzione sino a che non siano trascorsi
10 anni dalla morte del de cuius (termine di prescrizione dell’azione di riduzione) o decorsi 20
anni dalla trascrizione della donazione, senza opposizione da parte dei legittimari.
Questa assenza di certezza sull’assenza di un’azione di riduzione crea anche la nota criticità per l’acquirente
nell’accedere ad un mutuo, considerato che, se fosse intrapresa con successo l’azione di riduzione,
l’immobile dovrebbe essere restituito libero da ogni peso o ipoteca di cui il donatario o il terzo acquirente
l’abbiano gravato (artt. 549, 561 e 563 c.c.). E’ chiaro quindi che, in considerazione di detto rischio, gli istituti
di credito rendano più difficoltoso l’accesso al finanziamento nell’ipotesi di acquisto di tali beni.
In sintesi, quindi, la provenienza donativa di un immobile fa sorgere l’obbligo per l’agente immobiliare di
riferire alle parti, in particolar modo all’acquirente, la previsione del rischio ipotetico derivante dall’azione di
riduzione, prospettando allo stesso acquirente quali possano essere i presupposti e le conseguenze di detta
azione, come sopra sintetizzati.
Per poter adempiere correttamente a detto obbligo abbiamo predisposto l’Informativa che troverete unita
alla presente, che vorrete pertanto consegnare alle Parti, in particolar modo all’acquirente, avendo cura di
farvi rilasciare una firma per ricevuta, per poter dimostrare di aver correttamente adempiuto all’obbligo di
informazione previsto dall’art. 1759 cod. civ.
Avv. Daniele Mammani Avv. Giuseppe Baravaglio