mercoledì 31 ottobre 2018

Vendita di un immobile con riserva di proprietà: cos’è e come funziona


Gtres 

La vendita di un immobile con riserva di proprietà rappresenta un metodo alternativo tramite il quale procedere alla compravendita della casa. Per capire come funziona questa particolare formula e quali sono le sue implicazioni, idealista/news ha rivolto qualche domanda a Giampaolo Marcoz, consigliere nazionale del Notariato. Vediamo quanto spiegato.

Vendita immobile con riserva proprietà

Di che cosa si tratta?
“La vendita con riserva di proprietà, o patto di riservato dominio, è una formula di compravendita disciplinata dal codice civile in base alla quale l’acquirente entra nella materiale disponibilità del bene acquistato al momento della firma del rogito, ma la proprietà permane del venditore fino al versamento integrale del prezzo, cioè fino al pagamento dell’ultima rata”.
Come funziona?
“La vendita con riserva di proprietà viene utilizzata nelle ipotesi nelle quali l’acquirente ha la necessità di godere fin da subito del bene acquistato, ma non ha la possibilità di pagare integralmente l’intero prezzo.
Il venditore è disposto a perdere la disponibilità del bene, ma vuole essere esonerato dai rischi e soprattutto garantito che l’acquirente mantenga l’impegno assunto e provveda al pagamento delle rate di prezzo concordate, senza ritardi.
In caso di inadempimento nel pagamento delle rate di prezzo da parte dell’acquirente, il venditore potrà ottenere la risoluzione del contratto e chiedere la liberazione e la restituzione materiale dell’immobile, facendo ricorso all’autorità giudiziaria. Egli dovrà comunque restituire le rate riscosse, ma avrà la facoltà di trattenerne una parte a titolo di equo compenso, oltre al risarcimento dei danni eventualmente subiti”.
Quali sono i vantaggi?
“L’acquirente ottiene fin da subito la disponibilità della casa, può quindi cominciare a goderne per sé e per la sua famiglia; si vede concedere un pagamento dilazionato, senza dover chiedere un mutuo bancario.
Il venditore si libera dei rischi derivanti dalla casa fin dalla consegna e quindi si scarica delle connesse responsabilità; egli aumenta le sue possibilità di vendere il proprio immobile perché non impone il pagamento dell’intero prezzo e mantiene però la proprietà dell’immobile e la conseguente garanzia in caso di inadempimento dall’acquirente”.

Tassazione vendita immobile con riserva di proprietà

Quali sono gli svantaggi?
“La vendita con riserva di proprietà presenta alcune criticità. La prima è quella della sua tassazione; l’acquirente infatti, pur non divenendo proprietario del bene, è tenuto al pagamento delle imposte sul trasferimento fin dalla conclusione del contratto. Tale circostanza limita l’utilizzo in tutte quelle ipotesi nelle quali l’acquirente è ancora incerto se addivenire o meno all’acquisto.
Un importante svantaggio per il venditore è invece costituito dalla perdita della materiale disponibilità del bene e del suo conseguente utilizzo ad opera dell’acquirente; questa situazione lo espone ad un rischio importante di deterioramento del bene che potrebbe incidere in modo significativo sulla scelta del venditore.
Il venditore infine dovrà comunque ricorrere all’Autorità giudiziaria qualora voglia ottenere la liberazione del bene contro la volontà dell’acquirente che non rispetti i pagamenti concordati, con conseguente impiego di risorse finanziarie importanti e tempistiche non indifferenti”.
Si tratta di una formula diffusa?
“E’ una formula non molto diffusa nel mercato immobiliare, che invece trova una maggiore applicazione nelle cessioni di aziende. Essa rappresenta comunque uno strumento di grande interesse, quale formula di acquisto alternativa alla compravendita con contestuale mutuo bancario.
La necessità del ricorso all’Autorità giudiziaria in caso di inadempimento rende meno appetibile questo istituto giuridico che al contrario potrebbe contemperare in modo efficace gli interessi di entrambe le parti”.

Fonte : "Idealista"
Agenzia Immobiliare Farini 
059454227

martedì 30 ottobre 2018


acquisto di una casa all’asta, ecco

 come fare 
 
Le Entrate chiariscono quali sono le regole da seguire per 
usufruire delle detrazioni fiscali sugli interessi passivi del mutuo 
in caso di acquisto di una casa all’asta giudiziaria

Un contribuente ha acquistato un immobile ad un’asta giudiziaria per adibirlo ad 
abitazione principale contraendo un apposito mutuo.
Al riguardo chiede all’Agenzia delle Entrate se:
per poter usufruire della detrazione degli interessi passivi pagati in relazione al mutuo 
contratto per l’acquisto dell’immobile in questione, sia possibile far riferimento, in via 
analogica, alla disposizione prevista per l’acquisto di immobili locati
Secondo l’istante, infatti, la sua condizione specifica è analoga all’acquisto di immobili locati 
(peri i quali è prevista la possibilità di usufruire della detrazione di cui allart. 15 del TUIR
essendo l’unità immobiliare occupata dall’ex proprietario fino al momento della liberazione.
Con l’interpello del 14 ottobre 2018 l’Agenzia delle Entrate chiarisce che in via generale 
l’articolo 15 del TUIR, comma 1, lett. b), prevede una detrazione d’imposta del 19%, degli 
 interessi passivi e relativi oneri accessori corrisposti in dipendenza di mutui, garantiti da 
ipoteca, contratti per l’acquisto dell’unità immobiliare da adibire ad abitazione principale 
entro un anno dall’acquisto stesso, per un importo non superiore a 4.000 euro, pari a 760 
euro annui.
La norma stabilisce, inoltre, che qualora l’acquisto riguardi una unità immobiliare locata, la 
detrazione spetta a condizione che:
  • entro tre mesi dall’acquisto sia stato notificato al locatario l’atto di intimazione di licenza o di sfratto per finita locazione
  • entro un anno dal rilascio l’unità immobiliare sia adibita ad abitazione principale
Nel caso prospettato dall’istante, gli interessi passivi si riferiscono ad un mutuo per l’acquisto di un 
immobile all’asta giudiziaria che ha comportato l’instaurarsi di un procedimento esecutivo di rilascio 
nei confronti dell’ex proprietario, con susseguente trasferimento della residenza oltre il termine di un 
anno dall’acquisto dell’abitazione.
Per l’Agenzia si tratterebbe:
di una fattispecie diversa da quella prevista dall’art. 15 richiamato, ma ad essa accomunata dalla 
circostanza che l’acquirente deve attivare un procedimento giudiziario per ottenere la disponibilità 
dell’immobile. In considerazione della analogia con la fattispecie disciplinata dal legislatore, 
si esprime l’avviso che nel caso in esame sia applicabile la previsione di cui all’art. 15, comma 1, 
lettera b), quarto periodo, in forza della quale la detrazione degli interessi pagati in relazione 
all’acquisto del mutuo contratto per l’acquisto dell’immobile compete, a condizione che l’azione 
esecutiva per il rilascio sia stata attivata entro tre mesi dal decreto di trasferimento e che 
 l’abitazione sia stata adibita ad abitazione principale entro un anno dal rilascio.
Pertanto, qualora ricorrano le condizioni sopra menzionate, l’istante potrà usufruire della detrazione
  di cui alla disposizione in questione.
Abitazione principale
Cogliamo l’occasione per trattare la questione relativa all’abitazione principale e i relativi benefici 
fiscali. Per una trattazione più approfondita, si rimanda a un precedente articolo di BibLus-net.
Il concetto di abitazione principale è legato al luogo in cui un soggetto ha la propria residenza, o
 meglio la propria dimora abituale (concetto introdotto per la determinazione delle imposta 
municipale unica, l’IMU).
Il DL 101/2011 (Decreto Monti) fornisce la seguente definizione: “Per abitazione principale si 
intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel 
quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente risiedono 
anagraficamente […].
Quindi affinché un immobile possa essere considerato abitazione principale, sono necessarie 3 
condizioni:
  • il possesso/proprietà (o altro titolo reale quale ad esempio l’usufrutto o il diritto di abitazione);
  • la residenza anagrafica;
  • la dimora abituale intesa come elemento che sussiste continuativamente nel tempo.
Agevolazioni abitazione principale
Anche per l’abitazione principale si può usufruire di diverse agevolazioni, come ad esempio:
  • l’esenzione dal pagamento IMU (in passato si poteva avere analoga esenzione dal pagamento dell’ICI)
  • la possibilità di detrazione al 19% degli interessi passivi in caso di mutui stipulati per l’acquisto
     di una casa
  • la rendita catastale non è imponibile in sede di calcolo IRPEF
  • altre agevolazioni previste da alcune amministrazioni comunali, come quelle per la stipula dei 
    nuovi contratti relativi alle utenze domestiche (acqua, luce, gas)
  • altre agevolazioni per imposte locali (TASI, TARI, etc.) e tariffe locali
Differenza prima casa e abitazione principale
I benefici per abitazione principale non possono essere richiesti per immobili aventi i requisiti di 
prima casa ma nei quali non si ha la propria residenza, mentre possono essere goduti per immobili 
per l’acquisto dei quali non si è goduto dell’agevolazione prima casa, ma in cui si dimora 
abitualmente.
In definitiva, la prima casa potrebbe non essere la propria abitazione principale e non dar diritto 
alle relative agevolazioni.
Agenzia Immobiliare Farini
059454227


mercoledì 24 ottobre 2018


Sanatoria Imu, Tasi e Tari: arriva il condono per i debiti fino a 1.000 euro


La nuova sanatoria fiscale approvata dal governo coinvolge anche i contribuenti che, tra il 2000 e il 2010, hanno accumulato debiti relativi alle imposte sulla casa: Imu, Tasi e Tari. Il condono contiene, infatti, sconti fiscali che riguardano le mini cartelle fino a un importo di 1.000 euro.
Per verificare la soglia massima di 1.000 euro dovranno essere computati gli importi iscritti a ruolo (tasse, contributi, multe stradali), gli interessi per ritardata iscrizione e le sanzioni. Attenzione però: le cartelle dovranno risultare in riscossione in un intervallo di tempo che va dal 1° gennaio 2001 al 31 dicembre 2010. Il condono per i debiti fino a 1.000 euro accumulati tra il 2000 e il 2010 scatterà in automatico al 31 dicembre senza bisogno di attività o istanze da parte del contribuente.

Condono Imu 2018

I debiti in questione non riguardano solo il bollo auto, ma anche le imposte sulla casa, come l’Imu e la Tasi. Quel che è importante è che le cartelle risultino in riscossione dal 1° gennaio 2001 al 31 dicembre 2010 e che siano di importo fino a 1.000 euro.

Condono tassa rifiuti

Ma il condono tombale di tutti i debiti fino a 1.000 euro accumulati tra il 2000 e il 2010 non si ferma a Imu e Tasi, interessa anche la tassa sui rifiuti. Anche in questo caso, le cartelle devono risultare in riscossione dal 1° gennaio 2001 al 31 dicembre 2010 e devono essere di importo fino a 1.000 euro.

Condono debiti fino a 1.000 euro, cosa verificare

Ma come fare per capire se si rientra o meno all’interno del condono? Basta recuperare le vecchie cartelle di pagamento notificate e controllare il riferimento dedicato alla data di iscrizione a ruolo: se l’anno rientra tra il 2000 e il 2010 e se l’importo complessivo è inferiore a 1.000 euro, la cartella si dovrà ritenere annullata in automatico. Non sarà quindi necessario presentare una domanda o pagare un importo minimo per ottenere lo sgravio, l’agente della riscossione provvederà a cancellare il debito in automatico. Ma attenzione, questo avverrà solo quando la legge di Bilancio verrà approvata.


Da "Idealista"

Agenzia Farini

059 454227 


mercoledì 10 ottobre 2018

Che cos’è e come funziona la proposta d’acquisto


Che cos’è e come funziona la proposta d’acquisto






Quando si è in cerca di una casa da acquistare e si è individuato l’immobile ideale, inizia un iter che - se non emergono inconvenienti - sfocia poi con l’acquisto della tanto desiderata abitazione. Tutto parte, in genere, con la proposta d’acquisto. Giampaolo Marcoz, consigliere nazionale del Notariato, ha spiegato a idealista/news di cosa si tratta e come funziona.

Che cos’è una proposta dacquisto?

“La proposta d’acquisto è la dichiarazione dell’acquirente di voler acquistare un certo bene a un certo prezzo: solitamente si tratta di un modulo prestampato fornito dall’ agenzia immobiliare, ed è accompagnata dal versamento di una somma di denaro a titolo di ‘caparra’. Una volta firmata, la proposta d’acquisto contiene impegni già vincolanti per l’acquirente che di solito si impegna a non revocarla per un determinato periodo di tempo. Non vincola il venditore che nel frattempo resta libero di valutare anche altre offerte.
Bisogna distinguere la proposta di acquisto dal contratto preliminare di vendita o ‘compromesso’, con il quale il venditore e l’acquirente si obbligano a concludere una compravendita, stabilendone modalità e termini. Serve a impegnare le parti per il tempo necessario a risolvere eventuali problemi che non consentono la vendita immediata: ad esempio per l’acquirente la ricerca di un finanziamento e per il venditore la consegna di una nuova casa”.

Quale deve essere la durata?

“E’ consigliabile stabilire un termine ridotto per l’efficacia della proposta, ad esempio una o due settimane, entro il quale il venditore potrà accettarla concludendo l’affare”.

La proposta dacquisto prevede una caparra, quest’ultima a quanto deve ammontare?

“La proposta d’acquisto è accompagnata normalmente dal versamento di una somma di denaro a titolo di ‘caparra’. In genere si tratta di qualche migliaio di euro stabilito in proporzione rispetto al valore dell’immobile.
Tale somma resta ‘bloccata’ (e quindi viene sottratta alla disponibilità dell’acquirente) per tutta la durata di validità della proposta di acquisto. Importante: l’assegno relativo alla caparra deve essere intestato direttamente al venditore”.

Cosa succede se la proposta dacquisto non viene accettata dal venditore?

“Se la proposta d’acquisto non viene accettata, la caparra verrà restituita al proponente che sarà libero di modificare la sua proposta, magari migliorando le condizioni”.

Al contrario, cosa succede se la proposta dacquisto viene accettata?

“Nel momento in cui la proposta dell’acquirente viene accettata dal venditore, con la firma di quest’ultimo si conclude di fatto l’accordo contrattuale e le parti sono vincolate al rispetto di quanto contenuto nella proposta accettata.
L’immediata nascita di un obbligo contrattuale impone di prestare grande attenzione alle clausole contenute nella proposta di acquisto che solo con il consenso di entrambi i contraenti potrà essere modificata o integrata.
Sarà necessario quindi fare molta attenzione alle modalità e ai tempi di pagamento del prezzo, alla eventuale esigenza di richiedere un finanziamento, alla verifica della consistenza dell’immobile con riferimento alla regolarità urbanistica e degli impianti, ed infine ai tempi di consegna dell’immobile stesso.
Alla luce di tutto ciò è consigliabile farsi assistere dal notaio fin dall’ inizio, a partire dalla redazione di una proposta di acquisto che tenga conto delle proprie esigenze per non trovarsi vincolati a condizioni che non si è in grado di adempiere”.

Cosa accade, invece, se l’acquirente ci ripensa?


“Se il venditore ha già accettato, è essenziale capire se l’acquirente si sia riservato la possibilità di tornare indietro sui suoi passi avendo qualificato le somme versate a titolo di ‘caparra penitenziale’. Solo in questo caso potrà sciogliersi dal vincolo contrattuale perdendo solo la somma versata. In caso contrario, ovvero in caso di versamenti a titolo di ‘caparra confirmatoria’, per essere libero dall’impegno assunto dovrà ottenere il consenso del venditore, perdendo la somma versata a titolo di caparra ed esponendosi al rischio di eventuali ulteriori richieste di risarcimento danno da parte del venditore”

Da "Idealista"
Agenzia Farini
059 454227 

giovedì 4 ottobre 2018

Lavori in casa senza permesso


Lavori in casa senza permesso, c'è ancora incertezza su alcune opere





L’elenco dei 58 lavori in casa che si possono fare senza permesso (il glossario per l’edilizia libera) è entrato in vigore lo scorso aprile. Ma i suoi effetti sono proiettati a ritroso e riguardano tutti gli interventi che ricadono sotto l’ombrello del Testo unico dell’edilizia del primo gennaio 2002. Eppure, ancora non è stato sgomberato il campo da contestazioni.
Questo è l’aspetto più rilevante emerso dall’azione della giurisprudenza nei primi mesi dall’entrata in vigore delle nuove regole, studiate proprio per chiarire il perimetro di utilizzo dei “titoli abilitativi”: le autorizzazioni necessarie per effettuare interventi edilizi.
Così, per chiarire le ambiguità del Testo unico edilizia e per unificare le posizioni dei comuni che offrivano interpretazioni contrastanti, chiedendo permessi diversi per lo stesso intervento, il precedente governo ha deciso di intervenire per stabilire cosa è possibile fare nei diversi casi.
Ma, nel frattempo, il Tar Lazio, con la sentenza 7014 del 22 giugno, ha analizzato il caso di una pergotenda, realizzata in un’area sottoposta a vincolo paesaggistico, della quale era stata ordinata la demolizione a ottobre del 2016.
Per qualificare quell’intervento si può però utilizzare l’elenco in vigore da aprile 2018, considerandolo «comunque applicabile alla presente fattispecie». Questo perché si tratta di «un elenco di natura interpretativa», che serve a chiarire su norme già esistenti e quindi, in qualche modo, ha effetti anche sul passato.
Mentre il Consiglio di Stato, con la sentenza 2715 del maggio 2018, ha spiegato che, nonostante l’azione di semplificazione del glossario, resta ancora spazio per una certa dose di incertezza nel realizzare alcuni interventi.
Anche il caso in questione esaminava una tettoia, realizzata su un terrazzo di un’abitazione senza avere il permesso e, quindi, contestata dal Comune. Una copertura leggera può essere realizzata senza permessi, mentre una tettoia di «particolari dimensioni» ha bisogno del titolo edilizio più gravoso, il permesso di costruire quando, ad esempio, viene modificata la sagoma del fabbricato.
Proprio per questo il Consiglio di Stato ha affermato che: «Non è possibile affermare in assoluto che la tettoia richiede, o non richiede, il titolo edilizio maggiore e assoggettarla, o non assoggettarla, alla relativa sanzione senza considerare nello specifico come essa è realizzata». Tutto, quindi, dipende dai dettagli dell’intervento.
Il Comune, in ogni caso, «ha l’onere di motivare in modo esaustivo» un’eventuale decisione di rimozione dell’intervento realizzato, «attraverso una corretta e completa istruttoria che rilevi esattamente le opere compiute e spieghi per quale ragione esse superano i limiti entro i quali si può trattare di una copertura realizzabile in regime di edilizia libera».
Recentemente si sono succedute molte sentenze sul tema e confermano che quella delle coperture resta, nonostante il glossario, una materia ad alto rischio di contestazioni. Lo ha ribadito il Tar Campania con la decisione 4529 del 9 luglio scorso.
Da "Idealista"
Agenzia Farini
059 454227

martedì 2 ottobre 2018


La perizia di stima e il suo potere nelle sorti del credito
(Corte di Cassazione sez. I^ ordinanza 9 maggio 2018 n. 11201 )

 Teresio Bosco


Quanto può incidere sull’esito del giudizio una perizia estimativa fatta bene o fatta male, in seno ad un giudizio civile o di esecuzione, anche se non commissionata nell’ambito di quella procedura? E la valutazione, sulla scorta di quali parametri dev’essere fatta? Ed ancora, è possibile che il valore di un bene immobile costituisca, per dir così, un dato tecnico, o assiomatico, solo ricavabile per deduzione dalle caratteristiche costruttive, dalla localizzazione, dalla maggiore o minore vetustà e stato di conservazione, per menzionare alcuni dei principali parametri di stima, noti anche ai non addetti ai lavori?


Ebbene, qualche dato utile per rispondere a simili domande lo si può estrapolare da questa recente decisione della Corte di Cassazione, la quale in realtà affronta tutt’altro tema, non privo peraltro di interesse per chi fa stime e valutazioni per le banche, nel senso che, a proposito dei caratteri qualificanti del mutuo fondiario e della distinzione rispetto all’ipotecario, ribadisce il proprio, per certi versi nuovo orientamento del 2017 (id., I^ sentenza 13 luglio 207 n. 17352), ponendo una
netta linea di demarcazione tra le due fattispecie, che indica in modo chiaro nel “limite di finanziabilità” dell’acquisto, per il mutuo fondiario, nella misura dell’80% del valore di realizzo, sulla scorta dell’art. 38 del D.Lgs. 1 settembre 1993 n. 385 (T.U.B.) e della delibera del Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio (C.I.C.R.) 22 aprile 1995.), per farne discendere che il superamento del detto limite determina la nullità del contratto (di mutuo fondiario), con una serie di ulteriori questioni in ordine alla possibilità di procedere alla conversione del (contratto di) mutuo fondiario dichiarato nullo in un ordinario contratto di mutuo ipotecario, possibilità che peraltro la Corte non considera affatto scontata e frutto di un automatismo, secondo le regole poste a presidio del principio della conversione del contratto nullo in un contratto valido, emendato del vizio e che possa ritenersi vincolante per le parti che avevano sottoscritto quello originario, venuto meno per contrarietà a norma pubblica imperativa (art. 1418 et 14241 Cod. Civ.).

L’ordinanza in esame è a mio avviso interessante non tanto e non solo per l’argomento affrontato, sebbene sia esso meritevole di molta attenzione perché la stessa questione, vista dalla parte di chi redige la perizia, va di pari passo con quella della responsabilità professionale, quanto perché dalle pieghe della motivazione emerge il ruolo determinante svolto, giustappunto, dalla perizia estimativa nella qualificazione complessiva della vicenda, fin dalla fase del giudizio di merito.

La mia sensazione, per quanto può valere, è che si ponga più che nel passato l’accento anche su “come” viene redatta la perizia, sui suoi contenuti e su quali dati essa è in grado di fornire, al di là del risultato finale, di norma costituito da un importo, scritto in fondo e normalmente in grassetto, al quale viene spontaneo lì per lì rivolgere tutta l’attenzione.

I passaggi essenziali della decisione, per la parte che vorrei mettere in evidenza in questa sede, sono i seguenti:

a)    L’onere della prova circa l’osservanza dei requisiti qualificanti il mutuo fondiario, che come noto beneficia di un trattamento di particolare favore rispetto a quello ordinario ipotecario, sia per l’ente erogante che per il destinatario, grava sul soggetto che intende avvalersene (nella fattispecie la banca erogatrice del finanziamento, dovendo insinuarsi nel passivo del debitore in ragione di un credito derivante da un asserito mutuo fondiario);

b)   Ha ritenuto il giudice del merito, correttamente secondo il giudizio della Suprema Corte, che detto onere non fosse stato adeguatamente soddisfatto stante l’inidoneità della perizia prodotta in giudizio, siccome priva di data certa (i), perché redatta da un tecnico incaricato dalla parte e non dalla banca (ii), ultimo perché (iii) avente ad oggetto il valore venale del bene e non il valore cauzionale, cioè il valore concretamente ricavabile in via esecutiva;

c)    Se il superamento della soglia di finanziabilità non fosse sanzionata con la nullità del contratto di mutuo fondiario, ma fosse tale soglia equiparabile ad una semplice indicazione comportamentale rivolta dalla legge alle banche, si arriverebbe all’estremo di considerare “fondiario” il mutuo che la banca si limita ad allegare come tale, o quello provvisto di una perizia purchessia (id, testualmente);

d)   Il riferimento al valore cauzionale risponde all’orientamento della giurisprudenza della stessa Corte di Cassazione, secondo le indicazioni comunitarie (direttiva CE N. 2000/12) e si sostanzia nel “prudente apprezzamento della futura negoziazione dell’immobile”. La perizia di stima in questo caso diventa, pertanto, perno dell’assolvimento dell’onere probatorio, con le conseguenze che ne derivano, anzi che nel caso di specie non sono derivate, posto che la banca che ha erogato il finanziamento assistito da mutuo fondiario non è poi stata in grado di offrire prova convincente della sussistenza dei requisiti di legge. Il fenomeno acquista a maggior ragione peso nelle procedure di fallimento ed esecuzioni immobiliari, dove spesso capita di imbattersi in perizie che assomigliano più a degli esercizi di stile che non a valutazioni plausibili, quando addirittura non sono del tutto avulse dalla realtà nella quale si inseriscono i beni immobili che ne costituiscono l’oggetto. In qualche modo, a ragione o torto non saprei, si è sempre creduto che la stima fosse solo un indicatore, un punto di partenza che avrebbe trovato un suo naturale equilibrio nelle regole dell’asta, dunque dell’aggiudicazione al miglior offerente.


La realtà purtroppo è tutt’altra, ed una perizia sbagliata, o peggio farlocca, potenzialmente dà vita ad una doppia anomalia, da una parte moltiplicando le chiamate in asta con costi pesanti in termini di spese processuali e di durata del procedimento, dall’altra rischiando di infierire sulla parte debole della procedura, ovvero l’esecutato od il soggetto dichiarato fallito, il quale spesso versa in condizioni economiche disagiate e non è in grado di affrontare dei costi per farsi assistere da un legale piuttosto che da un tecnico, anche quando è consapevole di essere ingiustamente defraudato del valore dell’immobile. Sono certo di non dire cose nuove, tuttavia mi pare evidente che ci troviamo di fronte ad una carenza del sistema, o forse ad una necessità di maggiore controllo che si è resa necessaria per effetto dell’incremento del numero delle procedure giudiziarie, che potrebbe ad esempio attuarsi introducendo un procedimento di verifica, al pari di una due diligence nell’etimo originario indicato da quella funzione, per assicurare l’attendibilità e correttezza del metodo di stima impiegato e della valutazione finale, la quale in definitiva non dovrebbe essere soltanto considerata un interesse relegato nella sfera giuridica delle parti private, ma dovrebbe rispondere ad un interesse pubblico più generale, a presidio e salvaguardia del diritto di proprietà, garantito, come noto, come diritto fondamentale dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, e ad un più generale principio di giustizia.


Tornando a noi, qualcuno potrebbe voler sapere com’è andata a finire la vicenda in questo caso. Detto in due parole, e senza togliere il gusto a chi è più interessato di andarsi a leggere l’ordinanza della Cassazione, è successo che a fronte della decisione presa dal Tribunale, nel senso di rigettare la domanda presentata dalla banca, ai fini dell’ammissione al passivo del fallimento del proprio credito “in via privilegiata ipotecaria”, sul rilievo del superamento, in sede di erogazione del mutuo, dei limiti di finanziabilità stabiliti dalla legge, nonché di rigetto della domanda subordinata di conversione del contratto, e pertanto di ammissione al passivo del credito da considerare come mutuo ipotecario ordinario (rigetto dettato però da ragioni processuali e non di merito), la Corte di Cassazione, cui la banca ha presentato ricorso, ha deciso con l’ordinanza in commento confermando il Tribunale nella parte concernente la non riconosciuta qualità di mutuo fondiario, pertanto rendendo definitivo il provvedimento di rigetto della domanda di insinuazione privilegiata, e riformando invece la decisione sia nella parte concernente la conversione del contratto, pur con tutta una serie di paletti e di distinguo, sia infine ed in ulteriore subordine, nella parte concernente l’ammissione, anch’essa denegata in prime cure, del credito al chirografo. Su queste basi la questione è stata rimessa al giudice del merito, che la dovrà pertanto esaminare e decidere nei due profili residuali, mentre il punto principale, e per quanto ci riguarda essenziale della vicenda, rimarrà invariato.




Agenzia Immobiliare Farini

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Fonte: “Teresio Bosco”