giovedì 20 settembre 2018

Mediatore, perimetro ampio per il diritto al compenso


Mediatore, perimetro ampio per il diritto al compenso

Perché scatti il diritto alla provvigione basta che la parte abbia accettato l’attività del mediatore anche se l’incarico non è stato conferito per iscritto. Non è inoltre necessaria la presenza in tutte le fasi della trattativa a patto che, però, la sua opera sia stata indispensabile per la conclusione dell’affare. Ma attenzione al lasso di tempo tra il mandato e il raggiungimento dell’accordo: se troppo lungo potrebbe mettere in discussione il rapporto causa-effetto.
Il primo comma dell’articolo 1755 del Codice civile, intitolato «Provvigione», disciplina il compenso dovuto al soggetto che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, dipendenza o rappresentanza (articolo 1754 dello stesso Codice).
Ma quando si può ritenere che l’opera del mediatore sia stata decisiva per la firma dell’accordo? E quali sono le parti obbligate al pagamento della provvigione? A questi e ad altri quesiti hanno risposto i giudici, pervenendo a conclusioni ormai consolidate nella giurisprudenza di legittimità e di merito.

Il nesso di causalità

È stato chiarito, innanzitutto, che il diritto alla provvigione nasce quando la conclusione dell’affare sia in rapporto, secondo i princìpi della causalità adeguata, con l’attività di mediazione: è sufficiente, cioè, che l’opera del professionista costituisca l’antecedente indispensabile perché si arrivi, anche attraverso momenti e vicende successive, alla conclusione dell’affare, mentre non è necessario che il mediatore sia presente in tutte le fasi delle trattative fino alla stipula del negozio. Così, con l’ordinanza 869/2018, la Cassazione ha affermato che l’intervento di un secondo professionista non interrompe, di per sé, il nesso di causalità tra l’attività del primo mediatore e la conclusione del contratto, se eventuali variazioni oggettive e soggettive non incidano sull’identità dell’affare.
Attenzione, però: se passa molto tempo tra il primo incontro delle parti e il momento della firma del contratto, può essere difficile, per il mediatore, dimostrare che l’affare è stato concluso grazie al suo intervento. Lo ha escluso, infatti, il Tribunale di Messina (ordinanza dello scorso 6 aprile), in un caso in cui erano trascorsi cinque anni tra il conferimento del mandato e la conclusione di una locazione. Troppi, secondo il giudice siciliano, per potersi affermare un rapporto di causa-effetto tra i due contratti, soprattutto perché nel tempo il potenziale conduttore aveva usufruito di un diverso rapporto locatizio con un altro proprietario.

Chi deve pagare

Il mediatore può domandare la provvigione alle parti che gli hanno affidato l’incarico e poi sono entrate in trattativa. Può capitare che una parte agisca non per conto proprio, ma nell’interesse di un terzo. Per questa ipotesi (tutt’altro che infrequente), è tenuto al pagamento del compenso il rappresentato, ma solo se il rappresentante abbia dichiarato fin dall’inizio di agire in nome e per conto di un’altra persona (Cassazione, ordinanza 11655/2018). Altrimenti paga il rappresentante.
Peraltro, il diritto al compenso non richiede necessariamente il preventivo conferimento scritto dell’incarico per la ricerca di un acquirente o di un venditore, essendo sufficiente che la parte abbia accettato l’attività del mediatore. Così la Cassazione, con l’ordinanza 11656/2018, ha ritenuto obbligati i venditori che avevano riconosciuto l’opera di mediazione di un professionista, pur limitandola alla stipula del preliminare e senza aver siglato un atto scritto.

L’«affare»

Il diritto alla provvigione nasce dalla conclusione dell’«affare». Il Codice usa dunque un termine («affare») generico e atecnico, che va riferito a qualunque operazione economica idonea a creare un rapporto obbligatorio tra le parti, e quindi «un vincolo che dia diritto di agire per l’adempimento dei patti stipulati o, in difetto, per il risarcimento del danno» (Cassazione, sentenza 22000/2007). Dunque, ha diritto alla provvigione il mediatore se le parti stipulano un preliminare di preliminare, cioè un accordo con il quale ci si obbliga a concludere un successivo contratto che preveda effetti solo obbligatori (Cassazione, sentenza 923/2017).



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Fonte: “Il Sole (17/09/2018)”

mercoledì 19 settembre 2018

Rettifica detrazione IVA immobili, la decorrenza è dall’ acquisto





Con la risposta n. 3/2018 a un interpello, l’Agenzia delle Entrate ha spiegato che il periodo decennale di sorveglianza per operare la rettifica della detrazione Iva, per i fabbricati e per le porzioni di fabbricati, decorre dall’ acquisto o dall’ ultimazione degli stessi. Vediamo, nel dettaglio, il quesito presentato e la risposta fornita.
In particolare, con la risposta n. 3/2018 all’ interpello di una società a responsabilità limitata, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che con mutamento del regime fiscale delle operazioni realizzate a valle (da imponibili a esenti), la corretta interpretazione dell’articolo 19-bis2, commi 3 e 8, Dpr 633/1972, impone di non rettificare la detrazione dell’Iva assolta sui canoni di leasing. Il periodo decennale di sorveglianza per operare la variazione della detrazione d’imposta, per i fabbricati e per le porzioni di fabbricati, decorre dall’acquisto o dall’ultimazione degli stessi.

Il quesito

Una società a responsabilità limitata (Srl) costituita nel 2006 che ha per oggetto sociale, tra l’altro, l’acquisto anche mediante contratti di locazione finanziaria di aree fabbricabili e terreni in genere, di fabbricati destinati a civile abitazione, di fabbricati commerciali, industriali e a destinazione specifica (scuole, alberghi, multisale cinematografiche, centri di intrattenimento, case di cura, ospedali); nonché di fabbricati a uso ricreativo e sportivo anche per la successiva locazione a terzi, ha stipulato, nel 2006 e nel 2007, con società diverse, più contratti di locazione finanziaria aventi per oggetto varie unità immobiliari e altri contratti per lavori di ristrutturazione e/o riqualificazione delle stesse unità. Contratti per i quali le eventuali opzioni di acquisto potranno essere esercitate nel 2022 e nel 2031.
A riguardo, precisa l’interpellante, i relativi canoni di locazione finanziaria sono stati assoggettati a Iva in misura ordinaria e regolarmente detratti per intero. In seguito, gli immobili, a tutt’oggi condotti in leasing, sono stati concessi in locazione a un’altra società ancora prevedendo espressamente l’imponibilità dei relativi canoni.
Il contribuente istante, a questo punto, intenderebbe cambiare il regime fiscale relativo alle operazioni attive di locazione immobiliare, avvalendosi della regola generale di esenzione, di cui all’articolo 10, comma 1, numero 8, del Dpr 633/1972 e chiede se per tale mutamento debba procedere alla rettifica della detrazione, ai sensi del successivo articolo 19-bis2, prospettando egli stesso l’interpretazione della normativa per cui non si deve rettificare la detrazione dell’Iva assolta sui canoni di leasing, facendo rinvio anche alla risoluzione 178/2009 e alla circolare 26/2016.

La risposta

Con la risposta n. 3 del 17 settembre 2018, l’Agenzia delle Entrate ha accolto la soluzione interpretativa prospettata dal contribuente.
Dalla lettura del combinato disposto dei commi 3 e 8 dell’articolo 19-bis2 del Dpr 633 del 1972 emerge infatti che il periodo decennale di sorveglianza per operare la rettifica della detrazione dell’Iva, per i fabbricati e per le porzioni di fabbricati, decorre dall’acquisto o dall’ultimazione degli stessi.
La risoluzione 178/2009 chiarisce che “la rettifica deve essere effettuata tenendo conto del momento di acquisto o ultimazione dei beni immobili da parte delle società scisse, a nulla rilevando le modalità di acquisizione degli stessi (acquisto-costruzione, in appalto-acquisizione, in leasing)”.
Mentre la successiva circolare 26/2016 precisa, inoltre, che “in caso di assegnazione di immobili acquisiti mediante contratto di leasing per i quali sia stata esercitata l’opzione d’acquisto, ai fini del computo del periodo decennale di rettifica della detrazione occorre, di regola, fare riferimento alla data di esercizio del diritto di acquisto del bene da parte della società utilizzatrice. E’ da tale momento, infatti, che, a norma del suddetto art. 19-bis2, comma 8, del menzionato d.P.R. n. 633/1972, decorre il periodo decennale di ‘tutela fiscale’”.
La circolare, ai fini dell’individuazione del dies a quo per il computo del periodo di sorveglianza decennale per la rettifica della detrazione dell’Iva, fa espresso riferimento, “di regola”, alla data di esercizio del diritto di acquisto del bene da parte della società utilizzatrice.

Da "Idealista"
Agenzia Farini
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giovedì 13 settembre 2018

Il deposito cauzionale e la caparra nel contratto di affitto

Il deposito cauzionale e la caparra nel contratto di affitto





Il deposito cauzionale, o cauzione, e la caparra sono due elementi importanti del contratto di affitto.

Cos'è la cauzione nel contratto di affitto

Meglio conosciuto come cauzione, il deposito cauzionale è richiesto dal proprietario che affitta all'inquilino, al fine di ricevere una garanzia per le obbligazioni assunte in un contratto di locazione. Il deposito è previsto dalla legge allo scopo di tutelare (almeno in parte) il proprietario di un appartamento contro i possibili danni causati dall'inquilino all'immobile. E' disciplinato dall'articolo 11 della legge 392/78, che stabilisce che esso non può superare l'importo pari a tre mensilità del canone mensile ed è produttivo di interessi al tasso legale, da corrispondersi al termine di ogni anno di locazione.
Il deposito cauzionale ha la funzione di garanzia dell'adempimento da parte del conduttore degli impegni che questi si è assunto con il contratto: dal regolare pagamento dei canoni, alla restituzione dell'immobile locato allo spirare del termine finale, sino al ripristino dei danni eventualmente da lui arrecati all'alloggio oggetto del contratto.

Differenza tra cauzione e caparra

La caparra, a differenza del deposito cauzionale, è una somma in denaro che può essere temporaneamente versata all'agenzia immobiliare o al proprietario dell'immobile da parte del futuro conduttore come interesse ed impegno al futuro contratto di affitto.
Una volta trovato l'accordo e stipulato il contratto di locazione, la somma versata in termini di caparra deve essere restituita al conduttore, o al più trasformata in parte del deposito cauzionale o dell'affitto per la prima mensilità.Il deposito cauzionale, invece, è quella somma di denaro che il proprietario richiede nel momento della stipula del contratto di locazione a garanzia delle obbligazioni assunte nel contratto.
Il deposito è previsto allo scopo di tutelare il proprietario di un appartamento contro i possibili danni causati dall'inquilino all'immobile, per difenderlo da eventuali non-pagamenti degli ultimi mesi di locazione, ed in generale contro ogni possibile inadempimento da parte dell'inquilino.

Da "Idealista"
Agenzia Farini 
059 454227 

mercoledì 5 settembre 2018

Agevolazioni prima casa non idonea

 Agevolazioni prima casa abitazione non idonea, lo sconto si allarga

 


Con la sentenza n.2565/2018 la Cassazione è intervenuta su un tema molto dibattuto: l’applicazione del bonus prima casa. Con tale pronuncia la Suprema Corte ha riconosciuto l’agevolazione anche a coloro che, pur già titolari di un precedente immobile, si trovano costretti per inidoneità del primo, ad acquistarne un secondo.
Come ricordato dal Sole 24 Ore, il Fisco agevola l’abitazione principale e l’acquisto della “prima casa” mediante uno sconto sulle tasse da pagare quando si stipula il rogito di compravendita. Ma ad alcune condizioni: non avere, in tutta Italia, la proprietà di un’altra casa acquistata con il beneficio fiscale e non avere la proprietà di un’altra abitazione nello stesso Comune. Ma cosa succede se la casa risulta “non idonea” ad essere abitata? Una questione scottante, che negli anni ha suscitato molteplici discussioni e che è stata più volte sotto i riflettori della giurisprudenza.
Adesso la sentenza n.2565/2018 sembra aver fatto chiarezza una volta per tutte. Con questa pronuncia, la Cassazione ha stabilito che se l’acquirente è titolare di un alloggio ritenuto “non idoneo” ad essere abitato può acquistare una seconda casa con l’agevolazione fiscale. Nel dettaglio, è stato specificato che la proprietà di un’abitazione nel medesimo Comune (non acquistata con l’agevolazione prima casa) non impedisce di effettuare un nuovo acquisto agevolato se si tratta di una casa non idonea a essere abitata.

La sentenza ha specificato che l’agevolazione è in ogni caso impedita a chi ha già la proprietà di una casa acquistata con il beneficio, a meno di non venderla prima del nuovo rogito d’acquisto o entro l’anno successivo; che la proprietà di una casa nel medesimo Comune (non acquistata con l’agevolazione prima casa) non impedisce di effettuare un nuovo acquisto agevolato se si tratta di un’abitazione non idonea a essere abitata; che questa inidoneità può essere sia di tipo soggettivo (relativa alla situazione personale del contribuente), sia di tipo oggettivo (relativa alle condizioni dell’edificio). Nell’ambito della inidoneità oggettiva rientra anche la “inidoneità giuridica”, che si verifica nel caso in cui il proprietario dell’abitazione non la può utilizzare in quanto concessa in affitto ad altri.

E’ bene ricordare che il bonus prima casa è un’agevolazione fiscale prevista per chi compra o riceve a titolo gratuito (donazione o testamento) un immobile da destinare a prima casa di abitazione.
Sugli atti di vendita immobiliare tra privati, l’aliquota dell’imposta di registro è del 2% (con il minimo di 1.000 euro) e le imposte ipotecaria e catastale si pagano nella misura fissa di 50,00 euro ciascuna.

Sugli atti di vendita immobiliare con aziende soggette a Iva, l’aliquota dell’Iva è del 4%, l’imposta di registro fissa è di 200,00 euro e le imposte ipotecaria e catastale si pagano nella misura fissa di 200,00 euro ciascuna;
Sui trasferimenti immobiliari gratuiti (donazioni o successioni testamentarie, le imposte sulle successioni e sulle donazioni sono in misura ordinaria, ma le imposte ipotecaria e catastale sono nella misura fissa di 200,00 euro ciascuna. Nei passaggi tra coniugi o tra ascendenti, l’aliquota dell’imposta di registro è del 4%, ma solo sul valore del bene che eccede 1 milione di euro (cosiddetta franchigia): se il bene vale 900mila euro non si pagano imposte mentre se vale 1.100.000 euro si paga il 4% di 100mila.
Dal 1° gennaio 2016 al 31 dicembre 2020, inoltre, è possibile applicare l’agevolazione prima casa (imposta di registro dell’1,5%) anche al momento dell’acquisto dell’immobile da concedere in leasing da parte della società di leasing, purché l’utilizzatore sia in possesso delle condizioni agevolative previste dalla legge.
Da "Idealista"
Agenzia Farini
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