mercoledì 29 novembre 2023

Il mercato immobiliare registra un calo, ma non è in crisi: i nuovi strumenti di vendita

 

Soluzioni / Open House, Home Staging, offerta digitale per valorizzare gli edifici e venderli in tempi rapidi e al miglior prezzo di mercato.


Luca Batistoni è un consulente e Team Manager dell’Agenzia Immobiliare Re/Max Ideale e da 23 anni opera sul mercato toscano. Con lui, esperto della zona empolese e profondo conoscitore del settore e del mercato residenziale del territorio, facciamo il punto della situazione. Qual è attualmente la situazione del mercato immobiliare a Empoli? «In questo momento la situazione del mercato empolese rispecchia, come accade di frequente, l’andamento del mercato a livello nazionale. Parliamo di un mercato che definirei " Attendista", sono sicuramente diminuite moltissimo le richieste per quanto riguarda gli appartamenti e naturalmente sono conseguentemente calate anche le vendite, ma il calo, pur significativo, non è così catastrofico, perché si parla di un 10-15% in meno». Quali fattori influenzano la variazione del mercato immobiliare empolese? «Quel che sta influenzando maggiormente il numero delle compravendite e il prezzo degli immobili è l’aumento abbastanza importante del tasso dei mutui rispetto agli ultimi due anni. Allargando però il raffronto ci accorgiamo che gli attuali tassi sono in linea se non più bassi rispetto al passato. Dunque non si parla di un mercato in profonda crisi, piuttosto di una flessione abbastanza sensibile che suscita, giustamente, un po' di preoccupazione per ciò che accadrà nel 2024». Come influisce la situazione dei mutui sul mercato immobiliare di Empoli? Ci sono particolari evidenze o sfide che si stanno manifestando in questo settore? «Si è creato un mercato molto selettivo da parte degli acquirenti e la sfida per i venditori sarà quella di usare strumenti che possano permettere di essere concorrenziali sul mercato e soprattutto di uscire al giusto prezzo, in maniera da non restare bloccati per mesi e mesi con il rischio di svalutare il proprio immobile». Quando parli di strumenti nuovi per i venditori a cosa ti riferisci? «Parlo di strumenti quali Open House, Home Staging, offerta digitale, tutti strumenti innovativi che permettono di valorizzare l'immobile e quindi di venderlo in tempi relativamente rapidi e al miglior prezzo di Mercato. Strumenti che io, Grazie a Remax, padroneggio ormai da diversi Anni essendo stato il primo in Toscana a utilizzarli».


Fonte: lanazione.it

martedì 14 novembre 2023

Acquisto casa su carta, come comportarsi in caso di difformità

 


Se l’acquisto della casa avviene su carta e nel compromesso è scritto che la planimetria deve corrispondere all’allegato firmato in fase di stipula, ma poi in seguito effettuando il sopralluogo dell’immobile vengono riscontrate delle difformità, come ci si deve comportare? Per rispondere a questa domanda è bene fare riferimento a quanto previsto dal Codice civile.

L’articolo 1453 del Codice civile, Risolubilità del contratto per inadempimento, recita: “Nei contratti con prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l’altro può a sua scelta chiedere l’adempimento o la risoluzione del contratto, salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno. La risoluzione può essere domandata anche quando il giudizio è stato promosso per ottenere l’adempimento; ma non può più chiedersi l’adempimento quando è stata domandata la risoluzione. Dalla data della domanda di risoluzione l’inadempiente non può più adempiere la propria obbligazione”.

C’è poi l’articolo 1455 del Codice civile, Importanza dell’inadempimento, che recita: “Il contratto non si può risolvere se l’inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse dell’altra”.

E anche l’articolo 1490 del Codice civile, Garanzia per i vizi della cosa venduta, il quale recita: “Il venditore è tenuto a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendano inidonea all’uso a cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore. Il patto con cui si esclude o si limita la garanzia non ha effetto, se il venditore ha in mala fede taciuto al compratore i vizi della cosa”.


Alla luce di ciò, Il Sole 24 Ore, ricordando che con “il contratto preliminare (cosiddetto compromesso) le parti assumono la reciproca obbligazione a vendere e comprare l’immobile in fase di costruzione, alle condizioni convenute” e che “il promittente venditore-costruttore è vincolato a realizzare una unità immobiliare conforme a quella proposta in vendita e risultante dalla planimetria allegata al preliminare”, ha sottolineato che “la realizzazione di un immobile diverso, se non giustificata da ragioni di forza maggiore, identifica un inadempimento da parte sua”.

Nel prendere in considerazione, in particolare gli articoli 1453 e 1455 del Codice civile, è necessario “valutare se, trattandosi di un inadempimento parziale, le difformità riscontrate impediscano la stipula della compravendita oppure possano essere ritenute secondarie, aventi carattere marginale, alla stregua di un contemperamento fra l’elemento oggettivo della mancata (corretta e completa) prestazione del venditore e l’interesse soggettivo leso dalla parte promissaria-acquirente”.
 
Come ricordato dal Sole 24 Ore, c’è poi la sentenza 4939/2017 della Cassazione, secondo la quale “qualora un immobile venga realizzato con vizi e difformità rispetto al preliminare, che non lo rendano oggettivamente diverso per struttura e funzione, ma incidano solo sul suo valore oppure su secondarie modalità di godimento, il promissario acquirente, a fronte dell’inadempimento del promittente venditore, non resta soggetto alla sola alternativa della risoluzione del contratto o dell’accettazione senza riserve della casa viziata o difforme, ma può esigere l’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto definitivo (articolo 2932 del Codice civile), chiedendo contestualmente e cumulativamente la riduzione del prezzo; la pronuncia del giudice che fissa un prezzo inferiore a quello pattuito nel preliminare configura un intervento riequilibrativo delle opposte prestazioni, volto ad assicurare che l’interesse del promissario acquirente alla conservazione degli impegni assunti con il preliminare non sia eluso da fatti esclusivamente ascrivibili al promittente venditore”.

Fonte: Il Sole 24 Ore

martedì 31 ottobre 2023

Efficienza energetica, impianti datati in quasi un terzo delle abitazioni

 

Nonostante i vari bonus casa, ad essere davvero efficiente è solo il 12% delle abitazioni


Duemila famiglie coinvolte in tutta Italia per indagare le tendenze negli acquisti per la casa e i cambiamenti avvenuti con la fine del Superbonus: è l’Osservatorio Green Home Smart Home, l’indagine annuale condotta dall’Istituto di ricerca sociale e di marketing Eumetra. Forno elettrico e frigorifero in una casa su quattro hanno più di dieci anni di servizio; più recenti le lavatrici (la metà è stata installata negli ultimi cinque anni), lavastoviglie (il 58% è dell’ultimo quinquennio), asciugatrici (75% con meno di cinque anni), i piani cottura a induzione (con meno di cinque anni nell’80% dei casi), e i televisori (più di un terzo acquistati negli ultimi due anni).

Nel mentre però si fa strada il concetto di smart home, soprattutto se collegato alla sicurezza: il 32% delle famiglie considera interessante come funzione smart home l’installazione di sensori per la perdita di gas o acqua, il 28% di videocamere di sicurezza e il 27% di sensori di movimento nell’area della propria abitazione; a seguire anche gli impianti antintrusione (21 per cento). Il risparmio energetico è il secondo elemento chiave: il 28% ha dichiarato di puntare soprattutto su nuovi termostati smart e una quota simile su strumenti “intelligenti” di monitoraggio dei consumi.

«Gli ambienti domestici – dice Matteo Lucchi, amministratore delegato di Eumetra – stanno rapidamente cambiando: sono sempre più tecnologici e connessi (27% oggi, nel 2017 erano il 4%), soprattutto per la gestione dell’intrattenimento (Tv e casse audio), dell’illuminazione e della gestione del riscaldamento attraverso i termostati smart».

Per quanto riguarda l’efficientamento energetico però, la situazione è più critica, forse complice anche la fine delle agevolazioni. Le case efficienti, anche solo parzialmente (dotate di infissi isolanti, lampade led, o elettrodomestici efficienti), non superano il 34% delle abitazioni, fra le quali quelle veramente efficienti sono il 12%. Al contrario, nel 30% delle case gli impianti di riscaldamento autonomo e gli infissi isolanti superano i dieci anni di anzianità.

«Secondo la nostra analisi – spiega Lucchi – le intenzioni d’acquisto per l’efficienza energetica sono frenate oggi soprattutto dal prezzo di accesso, dal timore che le nuove dotazioni non permettano un effettivo risparmio, da una diffidenza nel rapportarsi con nuove tecnologie, dall’impegno che alcuni progetti richiedono e naturalmente dalla fine della cessione del credito che impatta appunto sulla barriera economica inziale, come accade soprattutto per le opere di isolamento termico perimetrale (cappotto)».

Fonte: Il Sole 24 Ore

lunedì 16 ottobre 2023

Case, il mercato frena. Ma crescono gli acquisti per investimento

 


Mentre rallentano le compravendite in generale, i dati, relativi alle transazioni realizzate dalle agenzie del Gruppo Tecnocasa, evidenziano un aumento della percentuale di chi acquista per investimento da 16,8% a 19,6% a livello nazionale. In aumento anche chi sceglie di vivere nell’hinterland.



La prima parte del 2023 restituisce un mercato immobiliare in sensibile rallentamento, con conseguente frenata delle compravendite e della crescita dei prezzi e dei canoni di locazione. «Non accennano invece a diminuire i piccoli investitori – spiega però Fabiana Megliola, responsabile dell’Ufficio Studi di Tecnocasa, secondo l’ultima analisi presentata giovedì a Milano sui dati relativi alla propria rete di vendita – che, secondo i nostri dati, sono in aumento, spinti soprattutto dalla volontà di proteggere il capitale e di praticare gli affitti brevi, complici gli importanti flussi turistici che stanno interessando il nostro Paese».

I dati, relativi alle compravendite realizzate dalle agenzie del Gruppo Tecnocasa, evidenziano infatti un aumento della percentuale di chi acquista per investimento da 16,8% a 19,6% a livello nazionale.

«Il primo semestre del 2023 – spiega Piero Terranova, analista Ufficio studi Gruppo Tecnocasa, sulla base di 22mila compravendite e più di 5.500 contratti di locazione tra i semestri compresi tra il 2019 e il 2023 – ha evidenziato un generale aumento degli acquisti immobiliari per investimento, in Italia la percentuale sale al 19,6% e si tratta della quota più alta registrata negli ultimi 5 anni. Tra le grandi città Milano si piazza sul podio per quanto riguarda gli acquisti per investimento, che nel capoluogo lombardo compongono ben il 39,1% delle compravendite, quota nettamente più alta rispetto a quanto registrato negli anni precedenti quando si oscillava tra il 23 e il 27 per cento. È la conferma del grande interesse che il capoluogo lombardo sta suscitando negli investitori, anche grazie ai numerosi interventi di rigenerazione previsti in città».

«Nel primo semestre del 2023 – osserva ancora Terranova – in Italia aumenta l’età media degli acquirenti e, dopo anni di ribassi, si attesta a 43,8 anni. Tale trend è determinato anche dalla crescita della componente investitori, target che ha un’età media più alta. Anche a Milano registriamo questa inversione di tendenza, con l’età media che sale a 41,4 anni. In Italia si registra una progressiva crescita della percentuale di acquisti da parte di single, che nel 2023 supera il 33%, mentre nel 67% dei casi a comprare sono famiglie. A Milano la percentuale di acquisti da parte di single è ancora più alta e si attesta al 50,8 per cento».

«Cresce – conclude l’analisi di Tecnocasa –- la percentuale di residenti in grandi città che si sposta nell’hinterland per l’acquisto dell’abitazione principale. Si tratta di una tendenza iniziata con l’arrivo della pandemia, prima dell’arrivo del Covid, infatti, a trasferirsi nell’hinterland era solo il 18% degli acquirenti, mentre ora siamo arrivati al 23%, una quota mai registrata negli ultimi anni. Un risultato che non sorprende alla luce dei cambiamenti che la pandemia ha messo in moto in termini di tipologia di casa ricercata, all’aumento dei prezzi delle case e alla minore disponibilità di spesa causata dall’aumento dei tassi di interesse. Questo trend risulta ancora più evidente a Milano, città più costosa d’Italia, che ha una quota di spostamenti verso l’hinterland che supera il 30%, mentre nel 2019 era solo al 21 per cento».

Fonte: Il Sole 24 Ore

martedì 3 ottobre 2023

Cedolare secca sui negozi: spunta l’aliquota al 15% per i piccoli centri

 Spunta una cedolare secca ridotta al 15% per l’affitto degli immobili non residenziali nei Comuni con meno di 5mila abitanti, per contrastare lo spopolamento dei borghi. L’ipotesi – già emersa in passato in ambienti parlamentari – è stata avanzata dalla commissione degli esperti sull’Irpef nominata dal viceministro dell’Economia, Maurizio Leo. Per gli immobili negli altri centri, invece, rimarrebbe l’aliquota al 21% già prevista fin dal 2011 per le abitazioni locate a canone libero.

I tecnici hanno suggerito un perimetro più ampio di quello della vecchia cedolare per i locali commerciali, che si è applicata ai soli contratti siglati nel 2019 per i negozi (categoria catastale C/1). La delega per la riforma fiscale, d’altra parte, parla genericamente di «immobili adibiti ad uso diverso da quello abitativo» (articolo 5 della legge 111/2023). Oltre ai negozi, perciò, rientrerebbero – tra gli altri – gli uffici (categoria A/10), i laboratori (C/3), ma anche altri fabbricati del gruppo D come ad esempio gli alberghi (D/2). Sull’effettiva ampiezza di questo perimetro, così come sulla decorrenza della nuova imposta, saranno decisive le coperture finanziarie. La “tassa piatta” sull’affitto degli immobili a uso diverso è infatti prevista come una semplice «possibilità» dalla legge delega.

La quantificazione del costo della nuova imposta per l’Erario è affidata alla Ragioneria generale, che è chiamata a misurare tutte le disposizioni contenute nelle proposte attuative della delega. Di sicuro la cedolare non rientrerà nel primissimo pacchetto di decreti delegati, quelli con le misure a costo zero (accertamento, calendario degli adempimenti, versamenti e così via). Ma l’ambizione è trovarle uno spazio nella legge di Bilancio per il 2024, anziché in successivi decreti attuativi. Già un anno fa il Governo aveva tentato di inserirla nella stesura iniziale della manovra, ma erano mancate le coperture.

Rispetto ad altre norme che i tecnici hanno dovuto scrivere da zero – come la deduzione delle spese per i dipendenti – la cedolare sugli immobili a uso diverso può contare su due punti di riferimento: la flat tax sulle locazioni abitative e la vecchia versione della tassa piatta sui negozi del 2019. Proprio partendo da queste discipline si può capire come potrebbe funzionare il nuovo tributo.

L’opzione per il nuovo regime fiscale sarà riservata alle persone fisiche, che secondo le ultime statistiche possiedono 1,29 milioni di immobili non abitazione concessi in locazione (di cui 789mila negozi e 168mila uffici). Come precisato dal Parlamento con l’approvazione del Ddl delega, l’inquilino dovrà essere un imprenditore (ditta individuale o società) o un professionista. L’applicazione ai contratti già in essere sarebbe insostenibile per le casse pubbliche. Quasi scontato, allora, che la cedolare si applichi ai contratti stipulati da una certa data (nella migliore delle ipotesi: 1° gennaio 2024). Nella vecchia versione c’era una clausola antielusiva che potrebbe essere riproposta: in pratica, la tassa piatta era esclusa per le locazioni già attive a una certa data, che poi fossero state risolte e nuovamente stipulate tra le stesse parti. Le Entrate avevano inoltre chiarito che il locatore poteva optare per la cedolare anche in occasione delle proroghe, parificando cioè i rinnovi alle nuove stipule.

È ragionevole ipotizzare che la nuova flat tax si applichi anche alle pertinenze affittate insieme all’immobile principale, come già succede per quella abitativa. Allo stesso modo, il regime agevolato dovrebbe essere escluso se non c’è allineamento tra utilizzo e inquadramento catastale: sarebbero tagliati fuori, ad esempio, gli uffici ancora iscritti in categoria abitativa A/2.

Fonte: Il sole 24 Ore



giovedì 7 settembre 2023

Aliquote Imu 2024, quali sono le novità e cosa cambierà

 


Novità in arrivo per le aliquote Imu 2024. Un decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze dello scorso 7 luglio, infatti, ha dato il via libera ai Comuni che potranno decidere autonomamente, fermo restando l’obbligo di rispettare determinati criteri, se aumentare o diminuire l’aliquota dell’imposta sulla casa. Scopriamo quali sono le opzioni esercitabili dalle amministrazioni ed entro quale data vanno comunicate.

Cosa possono scegliere i Comuni

Il decreto del 7 luglio 2023 stabilisce che d’ora in poi i Comuni possano scegliere tra due opzioni in tema di aliquote Imu. Le amministrazioni, nello specifico, possono cambiare (al rialzo o al ribasso) le aliquote Imu, mettendo in pratica una scelta in base a ragionevolezza, proporzionalità, adeguatezza (come specificato dal decreto del 7 luglio).

Oppure, i Comuni possono anche scegliere di non diversificare le aliquote, ma sarà comunque necessario redigere una delibera che approva quelle individuate dal decreto. In ogni caso, tuttavia, è necessario che le amministrazioni locali pubblichino una delibera entro il 14 ottobre dell’anno di riferimento, se non ci sarà una delibera pubblicata entro il 28 ottobre, le aliquote applicate saranno quelle dell’anno precedente a regime, mentre per il primo anno la mancanza della delibera determina l’applicazione delle aliquote base a livello nazionale.

Come pagare l’Imu

A restare sicuramente invariate, invece, saranno le modalità di pagamento per l’Imu 2024. Come accadeva in passato, infatti, l’imposta sulla casa va versata tramite il modello F24. Inoltre, per quanto riguarda le somme dovute, i Comuni potranno inoltrare la comunicazione fino alla fine del mese di ottobre 2024 poiché la novità verrà attuata solo a partire dal prossimo anno.

sabato 12 agosto 2023

Anedda, Nomisma: “I tassi dei mutui saliranno ancora, ecco come troveremo un nuovo equilibrio”

 



Con i continui aumenti dei tassi Bce, la certezza è che l’epoca dei mutui a tasso vicino allo zero è definitivamente terminata, almeno per questo ciclo economico. Guardando ai futures, quello che si intuisce è che, anche quando gli aumenti dei tassi termineranno, non si trasformeranno in una discesa verso i livelli di due anni fa, ma si assesteranno intorno ad un nuovo equilibrio. Nel frattempo le famiglie che desiderano comprare casa con un mutuo dovranno attrezzarsi per fare fronte alla situazione. Come? idealista/news  ne ha parlato con Roberto Anedda, senior advisor di Nomisma.

“La Bce è stata molto esplicita quanto al fatto che l’ultimo incremento dei tassi di interesse non sarà l’ultimo, finché l’inflazione non raggiungerà i livelli auspicati, - spiega Anedda. - La Banca Centrale, con questi aumenti, oltre a perseguire una precisa politica monetaria, lancia dei chiari messaggi agli operatori affinché non proseguano in attività che possano alimentare l’inflazione, permettendo al sistema economico di adattarsi ad un nuovo equilibrio che fermi nuove risalite dei tassi. Finché questo non accadrà, gli aumenti proseguiranno.

Inoltre, quello che le banche centrali vogliono comunicare è che ormai l’epoca dei tassi a zero è tramontata definitivamente.

Si è visto che nel lungo termine una situazione del genere crea squilibri. Quand’anche si dovessero quindi risolvere le problematiche attuali, ci si deve aspettare che i tassi non torneranno più sui livelli di due anni fa”.

Quando smetteranno di salire i tassi?

Potrebbero passare un paio d’anni prima che i tassi possano tornare su livelli accettabili. Se si guarda l’evoluzione dei futures, strumento comunque sempre da prendere con prudenza, quello che si può prevedere è che un calo non è prevedibile prima dei prossimi due anni, e non sarà nemmeno troppo marcato. Successivamente addirittura i tassi potrebbero tornare a salire, con una prospettiva di 7-10 anni. Quello che sta succedendo è quindi che il parametro del costo del denaro si sta adeguando verso un nuovo equilibrio.

A quanto arriveranno i tassi dei mutui? Quale sarà questo nuovo equilibrio?

Il livello di equilibrio dei tassi Bce si potrebbe collocare in una fascia compresa tra il 2,5 e il 3,5 per cento, con una prospettiva di medio lungo termine.

Questo significa che i mutui da ora in poi costeranno di più; occorrerà vedere quale sarà il nuovo punto di equilibrio in questo scenario, tenendo conto nell’equazione entrano anche i salari, che non aumentano allo stesso ritmo a cui aumentano i tassi dei mutui. Difendersi nel frattempo dall’aumento dei tassi è questione di adottare una strategia di emergenza. Chi ha un mutuo a tasso variabile in corso ha infatti visto un aumento considerevole delle rate. Il che è sostenibile se ci si trova a fine periodo di ammortamento, ma non così se ci si trova ad aver stipulato un mutuo da pochi anni, con ancora di fronte un lasso di tempo molto lungo per il rimborso. In questo caso le rate potrebbero addirittura raddoppiare.

Quanto è pesante per le famiglie l’aumenti dei tassi dei mutui variabili?

I mutui a tasso variabile erano sì una netta minoranza rispetto al totale, nel periodo in cui, con tassi quasi a zero, il boom era a favore dei tassi fissi.

In questo momento però, dei 3,5 milioni di mutui in essere, il 40 per cento sono mutui a tasso variabile.

Perché è successo questo? Perché, fino a due o tre anni, fa molti hanno stipulato un mutuo a tasso variabile scommettendo sul fatto che i tassi sarebbero ulteriormente scesi, o che sarebbe comunque stata possibile una surroga verso il tasso fisso successivamente, sfruttando nel frattempo il fatto che nel primo periodo di ammortamento i mutui a tasso variabile avessero rate più basse rispetto ai mutui a tasso fisso. Però è successo che i tassi sono risaliti, che le rate del mutuo a tasso variabile sono divenute più costose di quelle dei mutui a tasso fisso, e che surrogare il mutuo oggi significa sobbarcarsi tassi fissi molto più alti rispetto a tre anni fa. In più, scommettendo su quanto sopra, le famiglie si sono indebitate già per il loro massimo livello possibile di rapporto rata/reddito. Livello che, con gli attuali aumenti e a parità di salario, oggi non è più sostenibile. La difficoltà per coloro che hanno ora un mutuo a tasso variabile, quindi, è concreta.

Cosa si può fare, lato domanda e lato offerta, per arginare l’aumento dei mutui?

Lato offerta delle banche, i tentativi di rivitalizzare i tassi variabili con cap sono andati un po’ a vuoto proprio perché anche questa formula risulta poco conveniente, in primis per le banche stesse, dati i livelli di costo del denaro attuale. Al momento inoltre abbiamo il paradosso dei tassi fissi a rate meno costose dei tassi variabili, quindi in banca si trovano tassi fissi tra il 3.5 e il 3.7 per cento mentre i tassi variabili superano il 4%, anche solo al livello di offerte base. Lato domanda, a parità di reddito la sola cosa che si può fare è chiedere mutui di importo più basso, ridimensionando le proprie richieste a livello di possibilità di acquisto, o rinunciare del tutto a chiederlo perché troppo costoso. Nomisma vede un calo delle operazioni del 15 per cento annuo, anche a causa dei criteri di accesso al mutuo che si fanno più stringenti.

Dei nuovi mutui comunque il 95 per cento sono tornati a tasso fisso, che quantomeno protegge da qualsiasi tipo di sorpresa.

Che fare quindi contro l’aumento dei mutui? 

Alcune banche hanno preso iniziative a livello di istituto per delle moratorie mirate verso i propri clienti, anche per non compromettere la qualità del proprio portafoglio crediti. Si tratta naturalmente di iniziative che variano caso per caso e che non possono essere comparati a una misura generale e organica per affrontare la situazione immediata, che è difficilmente quantificabile, che non si sa quando si esaurirà, e che anche quando si dovesse esaurire non tornerà comunque ai livelli a cui eravamo abituati negli ultimi anni. Negli ultimi mesi si è vista una ripresa delle surroghe, che erano in calo da oltre un anno, da parte di persone che cercano di correre ai ripari con l’unico strumento che al momento consente di fermare l’aumento delle rate. Successivamente occorre dialogare con la banca per ottenere condizioni migliori o cercare di accedere alle moratorie, che però non sono accessibili per tutti. Quello che si auspica è che sia il Governo ad adottare misure più potenti rispetto alla semplice proroga di tre mesi del Fondo di Garanzia Consap, che è davvero poca cosa rispetto a ciò di cui ci sarebbe bisogno, Purtroppo la coperta, come sempre, è corta, quindi vedremo se e come verranno realizzati i propositi del Governo di intervenire su questo tema.

lunedì 24 luglio 2023

Affitti brevi tra boom del turismo e dibattito sulle nuove norme

 


L’estate è nel suo pieno e, piaccia o no, porta valanghe di turisti nel nostro Paese, dopo gli anni di paura per la pandemia da Covid. È inevitabile che in questo contesto si continui a parlare di affitti brevi, essendo questi una delle alternative più gettonate agli alloggi in albergo, e dato anche il recente dibattito innescato dalle nuove norme del Ministero del Turismo per regolamentare il settore. Facciamo il punto della situazione.

Gli affitti brevi trainano l’estate 2023

L’estate 2023 conferma la tendenza positiva registrata nel settore degli short rental nella prima parte dell’anno, che a sua volta ribadisce la ripresa iniziata nel 2022. Lo dicono le rilevazioni di Halldis, operatore italiano sugli affitti brevi dal 1986, che ha analizzato i dati relativi a oltre 1.200 proprietà tra appartamenti, palazzi e ville, in più di 120 località italiane ed europee, dalle principali città alle più belle località di mare, montagna, laghi e campagna.

Secondo questa analisi, il 2023, rispetto al 2022, mostra degli incrementi notevoli, pari al 73% delle prenotazioni e del 70% delle notti occupate. Nel 2022 sia le prenotazioni che le notti occupate hanno superato del 300% quelle del 2021, anno che ha risentito di forti limitazioni negli spostamenti a causa della pandemia.

“Nel corso del 2022 – dichiara Michele Diamantini, ceo Halldis – secondo i dati di Scenari immobiliari, il turismo internazionale globale ha recuperato il 66% dei livelli pre-pandemici: a fine anno il numero dei turisti che hanno viaggiato all’estero è arrivato a 960 milioni, più del doppio del 2021 anche se ancora il 34% in meno rispetto al 2019. L’Europa, la più grande area di destinazione, ha registrato 585 milioni di arrivi raggiungendo quasi l’80% delle condizioni precedenti la pandemia. I nostri dati dimostrano che, nonostante il Covid, la guerra in Ucraina e la congiuntura economica, la gente continua a desiderare di viaggiare e torneremo presto ai livelli del 2019. Gli affitti brevi faranno sempre più la loro parte se avranno un approccio innovativo e i fondi e gli operatori finanziari, focalizzati prevalentemente sul comparto alberghiero, continueranno a spostarsi, come sta avvenendo, anche sugli investimenti residenziali. Si tratta di operazioni lunghe, ma, fra due o tre anni, arriveranno sul mercato prodotti d’alta gamma, professionali e con servizi.”

Quali turisti scelgono l’affitto breve

Secondo i dati di Halldis, gli italiani rappresentano il 31,5% degli arrivi, mentre il resto è diviso tra provenienti da altre nazioni europee, che pesano per oltre il 52%, dall’America del Nord per il 7% e i rimanenti da altri Paesi. In calo i turisti che giungono dall’Asia, dal Sud America, quasi azzerati quelli dalla Russia e dalla Ucraina. Mentre nella prima parte dell’anno, i flussi si sono concentrati sulle grandi città come Roma con il 21% degli arrivi, Milano (12%), Firenze (10%), Venezia (8%), durante l’estate sono le classiche mete di vacanza che pesano con un 30% di tutti gli arrivi, mentre la montagna vale per il 18%, il 12% per i laghi e la campagna, soprattutto Toscana. A cambiare negli anni, non è la durata media della prenotazione, che risulta pari a otto/nove giorni, ma la disponibilità economica. Infatti, se nel 2021 il valore medio di una prenotazione è stato di 976 euro con un costo giornaliero di 121 euro, nel 2022 il primo sale a 1.286 e il secondo a 145 euro, nel 2023 rispettivamente a 1.516 e 180 euro, con un aumento del 24% rispetto al 2022.

Affitti brevi, le nuove regole 2023

Il dibattito sulla nuova normativa sugli affitti brevi, alla luce di tutto questo, non si ferma. Il nodo da sciogliere per quanto riguarda la legge sulle locazioni turistiche pensata dal Ministero guidato da Daniela Santanché è quello del numero di notti minime da trascorrere in affitto breve: pare ci sarà un passo indietro su pressione degli operatori del settore. Cosa che non tutti i player del settore turistico per hanno gradito.

“Il nostro giudizio sulla proposta di legge sulle locazioni brevi non può che rimanere sospeso, in attesa di conoscere il testo che sarà depositato in Parlamento”, sostiene ad esempio Alessandro Nucara, direttore generale di Federalberghi. “Abbiamo registrato positivi avanzamenti sul tema degli standard minimi che gli appartamenti in locazione breve devono possedere, per ragioni di sicurezza e di conformità agli strumenti urbanistici, sui relativi controlli e sull’adeguamento (da quattro a due appartamenti) della soglia oltre la quale l’attività si presume svolta in forma imprenditoriale. Non possiamo invece nascondere il nostro disappunto per il passo indietro che si profila all’orizzonte sul minimum stay, che continuiamo a ritenere un elemento essenziale della riforma.”

“Curioso che il Ministero del Turismo voglia intervenire nella limitazione delle locazioni, un tema regolato da quasi un secolo dal Codice Civile, - commenta d’altro canto il presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa, che ribadisce alcuni punti fermi:

“1. Il Ministro non ha ancora spiegato perché voglia limitare gli affitti brevi, visto che ha pubblicamente smentito le due motivazioni indicate nel disegno di legge predisposto in materia dal suo Ministero: l’esistenza del fenomeno del cosiddetto overtourism e il fatto che gli affitti brevi avrebbero causato lo spopolamento dei centri storici. 2. C'è già una legge – di dubbia costituzionalità – che impone di diventare imprenditore a chi destina alla locazione breve più di 4 case. Legge che comunque non tocca i property manager anche quando gestissero 100 case di 100 proprietari diversi. Davvero si vuole insistere su questa strada palesemente sbagliata? 3. Qualora fosse approvata la bozza del Ministero, anche con le modifiche di cui il Ministro ha parlato con gli albergatori, sarebbero limitate le locazioni brevi ma proseguirebbero indisturbate altre forme di ospitalità in appartamento quali affittacamere, bed and breakfast e case vacanza. Qual è la logica?”.

A questa nota risponde direttamente il Ministero del Turismo. “In riferimento alla nota emessa dal presidente di Confedilizia è opportuno specificare che la proposta di legge in tema di affitti brevi ha come obiettivo quello di regolamentare il fenomeno e non di criminalizzarlo. Il ministro ha infatti specificato: “Sugli affitti brevi un tema c’è: è il far west, perché non c’è una norma precisa, quindi nella nostra proposta, che spero vada presto in Parlamento, c’è innanzitutto il codice unico identificativo (CIN) perché ora ogni Regione ha il proprio codice identificativo e questo crea problemi. Vogliamo, invece, un codice identificativo nazionale, dove sarà facile capire quanti sono i letti a disposizione, perché non possiamo permettere che un turista arrivi in Italia pensando di affittare un appartamento con un certo numero di posti letto, che poi si dimostra non adeguato. Dobbiamo sia tutelare il turista che la proprietà privata, perché per noi quest’ultima è sacra”.

“Gli affitti brevi – afferma Vincenzo Cella, general manager Halldis – si confermano trainanti, oltre che per la prima parte dell’anno, anche per questa estate. In Italia, secondo una nostra elaborazione su dati Istat e Scenari immobiliari, questo settore riguarda circa 600.000 immobili per un valore, a parere dell’Osservatorio Digitale Politecnico Milano, di circa tre miliardi di euro. Il mercato apprezza i property manager (operatori professionali, ndr) come noi, che gestiscono per conto terzi il prodotto casa, pari a circa il 25% del totale di quelle destinate agli affitti brevi, perché garantiscono privacy, qualità dei servizi, gestione innovativa del pricing e operazioni di promozione e marketing del prodotto, oltre che naturalmente un reddito per i proprietari. Ben venga in questo senso la proposta di regolamentazione del settore, che deve essere condivisa e portare vantaggi a tutte le parti in causa.”

mercoledì 19 luglio 2023

Locazione a canone concordato, Confabitare Roma: “Durata e tassazione la rendono un’opzione interessante”


 Il contratto di locazione a canone concordato permette di locare un immobile a uso abitativo per la durata minima di tre anni, prorogabile per altri due. Ma quali sono gli aspetti di questa tipologia contrattuale che destano maggiore interesse? Nel caso si decida di optare per questa formula, cosa è necessario sapere? Cosa, invece, è bene evitare? Per cercare di fare un po’ di chiarezza, idealista/news ha rivolto qualche domanda a Eugenio Romey, presidente di Confabitare Roma, sede provinciale di Confabitare Italia, confederazione di associazioni sindacali della proprietà edilizia distribuite sul territorio nazionale.

Perché la locazione a canone concordato suscita interesse?

“La locazione a canone concordato desta interesse principalmente per due ragioni: una riguarda la possibilità di ridurre la durata minima della locazione e l’altra le agevolazioni fiscali.

In merito alla durata, per il proprietario, il locatore, è interessante sapere di poter rientrare in possesso dell’unità abitativa in tempi più brevi rispetto alla norma. Anziché i classici 4+4, le locazioni a canone concordato offrono diverse tipologie con durate minime inferiori: 3+2 per le esigenze abitative ordinarie; i 31 giorni per i contratti transitori, che arrivano al massimo a 18 mesi; i contratti per studenti, che hanno una durata minima di 6 mesi + 6 mesi e una durata massima di 3 anni + 3 anni. Queste sono le tre tipologie di locazione a canone concordato che si possono stipulare in tutti i Comuni italiani (quelli per studenti si possono stipulare nei Comuni che ospitano le sedi di studio e in quelli confinanti) e che, nel caso in cui il Comune rientri tra quelli 'con carenze di disponibilità abitative', comportano particolari agevolazioni fiscali.

Per quanto riguarda le agevolazioni fiscali, se con il contratto a canone libero (4+4) la tassazione Irpef o Ires è piena e l’Imu non ha alcuna riduzione (optando per la cedolare secca, l’aliquota è al 21%), con il contratto a canone concordato nei Comuni sopra citati la tassazione ordinaria (Irpef o Ires), nonché l’imposta di registro, hanno una riduzione del 30% e l’Imu ha una riduzione del 25% (salve ulteriori riduzioni deliberate dal Comune). In più, optando per la cedolare secca l’aliquota è pari al 10%”.

In Italia dove è possibile stipulare contratti a canone concordato?

“Quelli per esigenze abitative ordinarie si possono stipulare in tutti i Comuni, ma nel nostro Paese le regole del canone concordato vigono a macchia di leopardo e non sono uniformi su tutto il territorio nazionale.

Non è il Comune che stabilisce le regole, bensì è una normativa nazionale, predisposta dall’Autorità statale che ha le competenze sulle politiche abitative, ovvero il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, che stabilisce le regole 'generali', mentre le regole specifiche per il singolo Comune si trovano nei singoli Accordi Territoriali, che però non sono stipulati dal Comune, ma sono stipulati tra le organizzazioni della proprietà edilizia, come la nostra, e le organizzazioni dell’inquilinato. C’è, dunque, un tavolo sul quale si contrappongono questi due interessi, che trovano una sintesi in quello che poi si chiama Accordo Territoriale, il quale viene depositato al Comune e alla Regione.

Il Comune a volte non entra in alcun modo nel confronto, perché non convoca le organizzazioni, che hanno la facoltà prevista dalla legge di autoconvocarsi; quando invece è il Comune a convocare le organizzazioni entra in modo 'concreto' nella contrattazione in linea di massima solo se attribuisce ulteriori agevolazioni, ad esempio sull’Imu, rispetto a quelle previste dalla normativa statale”.

Quali sono le problematiche di questa tipologia contrattuale? 

“Uno degli svantaggi sta nel fatto che nei contratti a canone concordato vige la compressione dell’autonomia negoziale delle parti.

Quindi, mentre nei canoni liberi il contratto si può personalizzare e adattare al singolo caso specifico inserendo qualsiasi tipo di clausola (che ovviamente non sia vietata dalla legge), nei contratti a canone concordato questo non è possibile, perché i testi sono stati studiati in sede di Convenzione nazionale, la quale contiene in allegato i testi contrattuali da utilizzare per le tre diverse tipologie, testi che sono stati recepiti dal Decreto Interministeriale del 16 gennaio 2017.

Nei contratti a canone concordato, quindi, i testi sono già predisposti. Non è possibile inserire nuovi obblighi, nuovi divieti, clausole risolutive espresse e così via. Si tratta di una struttura 'chiusa' al 90 per cento: come statuito dalla Cassazione, lo scostamento dai testi in allegato al Decreto può riguardare soltanto obbligazioni accessorie aspetti marginali delle obbligazioni principali, in modo da non alterare l’assetto degli interessi quale precostituito nel contratto-tipo.

L’altro svantaggio, se così vogliamo chiamarlo, è il calcolo del canone, che deve essere compreso tra un minimo e un massimo entro una fascia di oscillazione da individuare secondo criteri riportati nei singoli accordi territoriali. Questo vuol dire che nei Comuni dove l’accordo territoriale è stato fatto bene e i canoni sono appetibili, l’interesse per questa tipologia di contratto è elevata; dove invece i canoni non risultano convenienti, l’interesse per questa tipologia di contratto è minima.

A tal proposito, possiamo affermare che i due Accordi Territoriali vigenti contemporaneamente a Roma sono stati fatti con criteri di calcolo dei canoni adatti, che li rendono comunque appetibili, di conseguenza abbiamo avuto moltissimi immobili messi sul mercato in locazione a canone concordato, con vantaggi di gettito per l’Erario; in altri Comuni, come ad esempio a Milano, i proprietari non ritengono conveniente locare a canone concordato per via di canoni esageratamente bassi. E’ importante trovare un giusto equilibrio tra il funzionamento dell’accordo territoriale e le tutele legate al canone, che deve essere comunque più basso del canone libero”.

Quali sono invece i vantaggi? 

“Sostanzialmente, quando si parla dei vantaggi, si fa riferimento alle agevolazioni fiscali e alla durata minima del contratto. Ma, come abbiamo detto, il vantaggio dipende anche dal fatto se nel territorio vige un accordo territoriale conveniente o meno per chi ha la disponibilità degli immobili e li vuole mettere in locazione.

Non bisogna dimenticare poi che anche per il conduttore ci sono delle agevolazioni fiscali. Ad esempio, i conduttori di contratti a canone concordato che destinano l’alloggio ad abitazione principale hanno diritto a una detrazione Irpef pari a 495,80 euro, se il reddito complessivo non supera 15.493,71 euro, e a una detrazione Irpef pari a 247,90 euro, se il reddito complessivo è superiore a 15.493,71 euro ma non superiore a 30.987,41 euro. Stipulando un canone libero anziché un canone concordato, la prima detrazione scende a 300 euro e la seconda a 150 euro”.

Quali sono le modalità di accordo tra proprietari e inquilini?

“Per stipulare un canone concordato si possono utilizzare due diverse modalità. La prima – più rara – si chiama 'contratto assistito' e prevede che venga materialmente redatto dall’organizzazione del locatore e da quella del conduttore e sottoscritto anche dalle suddette organizzazioni sindacali. Questo contratto dal punto di vista normativo nasce già 'perfetto' e quindi necessita di avere solo una 'scheda calcolo canone' che viene rilasciata dalle organizzazioni e costituisce parte integrante del contratto.

Il contratto che si usa nella pratica quotidiana si chiama invece 'contratto non assistito', il che non vuol dire che non possa esserci consulenza da parte dell'organizzazione sindacale, ma non è tecnicamente un’assistenza alla stipula. In questo caso, il contratto viene stipulato dalle parti, locatore e conduttore; le organizzazioni, salvo nel caso rarissimo in cui l’accordo territoriale lo preveda, non mettono timbri o firme sul contratto, perché non è stato redatto dalle organizzazioni, ma dalle parti.

Nella pratica, nel caso del 'contratto non assistito', la parte che ha più interesse – in linea di massima il locatore - si deve rivolgere all’organizzazione a cui aderisce (dovrebbe rivolgersi ad una delle organizzazioni sindacali della proprietà edilizia, che a livello nazionale sono otto) e richiedere l’attestazione di rispondenza, che è obbligatoria.

A quel punto l’organizzazione esamina il contratto dal punto di vista normativo e dal punto di vista economico . L’attestazione, infatti, è un documento che attesta la rispondenza all’accordo territoriale sia della parte normativa sia di quella economica del contratto. Questa attestazione attribuisce le agevolazioni fiscali e nell’emetterla le organizzazioni si assumono anche una responsabilità erariale. Una volta ottenuta l’attestazione, il contratto si può registrare”.

Quale consiglio può dare a chi vuole optare per una locazione a canone concordato? 

“Il consiglio a un proprietario immobiliare che si accinge a locare a canone concordato è quello di approcciarsi a una delle organizzazioni della proprietà edilizia e chiedere istruzioni prima di fare qualunque altra cosa. L’organizzazione fornirà i testi di contratto da utilizzare, spiegherà cosa bisogna evitare e cosa invece si può fare, rilascerà un pre-calcolo del canone ammissibile, in modo tale da stipulare un contratto con un canone corretto e che dunque possa essere attestato”.

Cosa è necessario sapere prima di stipulare un contratto di locazione a canone concordato? 

“Il proprietario deve innanzitutto decidere quale accordo territoriale utilizzare, se nel proprio Comune ne vigono più di uno in contemporanea, come ad esempio a Roma e a Bergamo. In questi casi, valuterà quello che si adatta meglio alle caratteristiche oggettive del proprio immobile, che devono essere dichiarate all’organizzazione sotto la sua responsabilità, come previsto dal decreto interministeriale. Una volta deciso quale accordo utilizzare, il proprietario deve rivolgersi ad una tra le organizzazioni che hanno stipulato quell’accordo.

L’organizzazione a quel punto fornisce le istruzioni e la modulistica necessaria, il testo di contratto da utilizzare, che deve essere personalizzato inserendo i dati anagrafici, i dati dell’immobile, qualche clausola aggiuntiva ove congrua, eventuali garanzie o fideiussioni di terzi, se ne esistono. Qualche piccola modifica, come anzi detto, può essere operata, ma il contratto non deve essere stravolto, altrimenti perde la rispondenza normativa e non può essere attestato. Della registrazione se ne può occupare l’organizzazione oppure direttamente il locatore. Quello che è obbligatorio per il locatore richiedere all’organizzazione è l’attestazione”.

C’è un aspetto al quale bisogna prestare particolare attenzione? 

“La massima attenzione deve essere prestata ai contratti transitori, dal momento che non è assolutamente vero che il contratto è 'transitorio' perché così hanno deciso le parti.

Per poter locare con un contratto transitorio, che quindi dura al massimo diciotto mesi e quando cessa non può essere rinnovato, è necessario che ci sia un’esigenza di transitorietà tra quelle indicate nell’accordo territoriale, che ci sia documentazione giustificativa di queste esigenze, che deve obbligatoriamente essere allegata al contratto, oltre al fatto che l’esigenza deve essere indicata nel contratto stesso.

Quindi, laddove l’esigenza sia verificata e documentata il contratto transitorio si può stipulare, altrimenti non si può stipulare o comunque, nel caso l’esigenza ci sia, ma non sia facilmente documentabile, bisogna ricorrere ad assistenza bilaterale, quindi in linea di massima ad un contratto assistito. Ma, soprattutto, il decreto prevede una sanzione importante per chi stipula un contratto transitorio senza rispettare le regole, ossia una conversione in un abitativo 4+4 a canone libero, con la perdita delle agevolazioni fiscali, la durata che diventa di otto anni, il possibile svincolo da parte del garante/fideiussore.

Non solo: il locatore potrebbe addirittura essere condannato alla rifusione al conduttore dell’importo di canone percepito in più, perché il contratto transitorio, nel calcolo del canone, può avere degli incrementi che vanno anche fino al 20%. Quindi, laddove il contratto sia stato stipulato in modo non corretto, il locatore viene condannato a restituire l’indebito percepito. Si tratta di un contratto particolare al quale purtroppo le persone si approcciano con spaventosa leggerezza”.

Cosa, infine, non si dovrebbe fare?

“So di affermare qualcosa di non 'politically correct', ma una delle prime cose che mi vengono in mente è quella che se si vuole locare a canone concordato non ci si dovrebbe rivolgere ad un Caf per la stipula e l’attestazione. Ovviamente va bene per la successiva registrazione.

Il locatore pensa, generalmente, che sia il Caf che emette l’attestazione. Le attestazioni, al contrario, sono emesse dalle organizzazioni della proprietà edilizia o dell’inquilinato che hanno stipulato l’accordo territoriale. A sua volta, quindi, il Caf deve passare l’intera pratica a una delle organizzazioni che può emettere l’attestazione, con un’interposizione che a volte può creare problemi. Questo perché è chiaro che un Caf che segue moltissime tipologie di pratiche differenti può non accorgersi che, a mero titolo di esempio, la clausola della garanzia non ha riportato l’importo massimo garantito e quindi è nulla, oppure che è stata introdotta una clausola risolutiva espressa e così via.

Per di più, ci sono casi in cui il Caf, il cui cliente è il proprietario immobiliare, passa la pratica ad un'organizzazione sindacale dell’inquilinato, il che, anche se non rende invalida l’attestazione, certamente potrebbe dare un diverso taglio alla tutela del locatore e in ogni caso quest’ultimo andrebbe previamente informato di questa particolarità”.

L’attività di Confabitare Roma

Ma cosa fa, nello specifico, Confabitare Roma per informare gli interessati sulle diverse possibilità in materia di locazione e quali servizi offre? Sul punto ha fatto chiarezza Elsa Angelini, che si occupa delle relazioni istituzionali di Confabitare Roma.

“Per spiegare ciò che noi facciamo dobbiamo partire dal cambiamento che c’è stato negli ultimi anni. L’Italia è uno dei Paesi con il più elevato numero di proprietari di abitazioni, dopo l’esperienza del Covid e l’attuale aumento dei tassi di interesse è cambiata molto la percezione della proprietà immobiliare. Le persone si affacciano al mondo delle locazioni più come scelta del nuovo modo dell’abitare. L’offerta e la materia legata alla locazione assumono quindi una nuova visione. La locazione viene vista non più come un momento di transito per poi approdare all’acquisto, ma come scelta che si adatta meglio alle proprie esigenze di vita, spesso in continua evoluzione. 

Su questo e tanti altri temi legati alla politica dell’abitare, Confabitare organizza convegni, seminari, corsi di formazione e iniziative pubbliche, che spesso hanno avuto ampia eco sui social e sui media e che hanno registrato notevole partecipazione e interesse per i temi trattati, ma anche per l’autorevolezza dei relatori. Per quanto concerne la formazione, ci occupiamo anche di corsi. Al riguardo, mi preme ricordare con soddisfazione il successo ottenuto nell’edizione 2023 dall’incontro formativo organizzato nella nostra sede romana il 23 maggio scorso con gli studenti americani di 'Pre-Law' provenienti da diverse Università Usa, in partnership con The Lex Fellowship, e che ha avuto come tema la locazione turistica, un argomento in questo momento molto sensibile. Confabitare è poi presente in numerose manifestazioni fieristiche di grande pregio e richiamo. È presente, inoltre, sul web e sui social.

Confabitare risponde con chiarezza ai propri associati non solo in materia di locazione, ma anche in riferimento alle problematiche che il mondo della locazione porta con sé, tipico esempio è il tema del condominio. E per rispondere meglio e in tempi rapidi ai proprietari di immobili, riteniamo che la vicinanza al territorio, al tessuto urbano, sia di fondamentale importanza. Abbiamo per questo costituito delle sedi provinciali su gran parte del territorio nazionale. Ciascuna sede provinciale, poi, apre delle 'delegazioni' sul territorio. Abbiamo scelto dei professionisti di settore – avvocati, commercialisti, architetti, ingegneri, geometri – altamente qualificati e ai quali è stata data la grande responsabilità di coordinare le delegazioni. Le sedi provinciali e le delegazioni hanno quindi un ruolo importante, quello di avere il contatto diretto con chi è titolare di un diritto di proprietà immobiliare. Questo consente innanzitutto a Confabitare di dare risposte certe agli associati, ma anche di portare avanti le proprie proposte rispetto al ruolo di interlocutore privilegiato, continuando così a svolgere nel modo migliore la funzione di portavoce della categoria rappresentata.

Per poter operare nel modo più ampio possibile, Confabitare ha scelto anche la collaborazione e la sottoscrizione di protocolli di intesa con associazioni che hanno le stesse finalità, partecipando ad accordi che riguardano temi connessi alla locazione immobiliare. Tutto questo rende Confabitare un interlocutore importante per diverse categorie, a cui noi mettiamo a disposizione servizi professionali. Ci preme sottolineare che l’Accordo Territoriale di Roma stipulato il 5 marzo 2019 insieme a Unioncasa e Assocasa è innovativo ed è l’unico in Italia menzionato nel volume 'Memento Immobili e Condominio' di Giuffrè Francis Lefebvre, praticamente una 'Bibbia' del settore.

Le sedi provinciali, compresa quella di Roma e le sue delegazioni, sono a disposizione degli iscritti per tutte le problematiche legate all’abitare sia in casa che in condominio, con particolare focus sulle locazioni. Solo con la vicinanza al territorio si può essere reale portatori di interesse, questo a noi sembra assolutamente il modo migliore per dare risposte”.

mercoledì 28 giugno 2023

Tasso interesse sul mutuo prima casa, la migliore offerta di oggi 28 giugno 2023

 


I tassi di interesse sui mutui oggi 28 giugno 2023

Quanto è il tasso fisso e variabile per un mutuo oggi? Il 28 giugno 2023 i tassi Euribor ed Eurirs, riferimento rispettivamente per i mutui a tasso variabile e fisso, si rivelano praticamente invariati quando non in calo. In particolare:


Qual è la banca che ha il tasso fisso più basso

Considerando i tassi fissi sui mutui prima casa oggi, simuliamo la richiesta di un mutuo trentennale per acquisto prima casa da parte di un impiegato 35enne residente a Milano con un reddito di 2600 euro mensili, per un importo da 100 mila euro su un valore immobile di 200 mila euo. Con questa scelta il miglior tasso fisso sul mutuo prima casa di oggi è il seguente:

Bper Banca, Mutuo promo tasso fisso, Tan 3.25%, Taeg 3.44%, rata del mutuo 435 euro, spese di istruttoria 698 euro, perizia 280 euro.

Il miglior tasso variabile mutuo prima casa oggi

Per lo stesso tipo di simulazione, tra i tassi dei mutui prima casa di oggi troviamo la migliore offerta di mutuo a tasso variabile, che è la seguente:

Banca Sella Mutuo a tasso variabile, Tan 4.20%, Taeg 4.43%, rata 489 euro, istruttoria gratuita, perizia 200 euro.

Calcola la rata del tuo mutuo

Con il simulatore idealista/mutui è possibile calcolare la rata media del mutuo disponibile oggi in banca. Ipotizzando un prezzo dell’immobile di 200 mila euro e un capitale iniziale di 60 mila euro e una richiesta di 140 mila euro da rimborsare in 30 anni, il tasso variabile medio disponibile oggi è di 4,47 per cento con una rata di 706 euro mensili (escluse tasse e spese), per un costo totale inclusi gli interessi di 314.470 euro. Il tasso fisso medio disponibile oggi è invece del 3,60 per cento, con una rata di 636 euro mensili (escluse tasse e spese), per un costo totale inclusi gli interessi di 289.142 euro.

giovedì 8 giugno 2023

Registrazione del contratto di locazione presso l’Agenzia delle Entrate: ecco quello che devi sapere

 


La registrazione del contratto di locazione presso l’Agenzia delle Entrate è un’operazione fondamentale nel processo di affitto di un immobile. Grazie a questo passaggio, infatti, il contratto di affitto assume validità, obbligando locatore e conduttore a sottostare a determinate condizioni, nella tutela e nel rispetto dei loro interessi. Ti spieghiamo passo a passo tutto quello che devi sapere sulla registrazione del contratto di locazione, che, come ricordiamo, è obbligatori per i contratti superiori a 30 giorni

Registrazione del contratto di locazione presso l’Agenzia delle Entrate: quando è necessaria?

La registrazione del contratto di locazione presso l’Agenzia delle Entrate è obbligatoria nei casi in cui la locazione abbia una durata superiore ai 30 giorni complessivi nell’anno solare. Pertanto, per gli accordi la cui durata è inferiore ai 30 giorni non sussiste per le parti l’obbligo di registrazione del contratto di locazione presso l’Agenzia delle Entrate. Questo vale sia in caso di registrazione di un contratto di locazione all’Agenzia delle Entrate ad uso commerciale sia in caso di contratto d’affitto ad uso abitativo.

Naturalmente, quando locatore e conduttore decidono di convenire un accordo, la registrazione del contratto di locazione all’Agenzia delle Entrate deve essere effettuata entro 30 giorni dalla data di stipula del contratto o dalla sua decorrenza, se anteriore. In sede di registrazione, è bene accertarsi di allegare al contratto l’Attestazione di Prestazione Energetica (APE). Infatti, in caso di registrazione del contratto di locazione all’Agenzia delle Entrate, l’APE è obbligatoria, pena sanzione. Una volta effettuata la registrazione, l’accordo redatto dalle parti secondo il modello del contratto di affitto scelto è finalmente valido.

Le marche da bollo per la registrazione del contratto di locazione all’Agenzia delle Entrate

La registrazione del contratto di locazione presso l’Agenzia delle Entrate prevede il pagamento di alcune imposte a carico di locatore e conduttore, in parti uguali. La prima è l’imposta di bollo, pari a 16 euro (per ogni 100 righe o 4 facciate del contratto), che va applicata su ogni copia del contratto da registrare. Nel caso di registrazione del contratto di locazione online presso l’Agenzia delle Entrate, l’imposta di bollo viene calcolata direttamente dal sistema.

La seconda è l’imposta di registro, che varia in base alla tipologia di immobile affittato. Per i contratti pluriennali, quando la tassa viene pagata, al momento della registrazione e per l’intera durata del contratto, questa è pari al 2% del corrispettivo complessivo. Se, invece, viene versata anno per anno, corrisponde al 2% del canone relativo a ciascuna annualità. Ovviamente, chi decide di versare l’imposta di registro per l’intera durata del contratto ha diritto ad uno sconto.

Agenzia delle Entrate e contratto di locazione: la registrazione online

Oggigiorno è possibile effettuare, in completa autonomia, la registrazione del contratto di locazione online presso l’Agenzia delle Entrate. Questa modalità è obbligatoria per i possessori di almeno 10 immobili e per gli agenti immobiliari; è facoltativa per tutti gli altri. Presso l’Agenzia delle Entrate, la registrazione del contratto di locazione online è praticabile solo se si è in possesso delle credenziali SPIDCIE (carta d’identità elettronica) o CNS (Carta nazionale dei servizi),

Solo con queste, infatti, è possibile effettuare l’accesso a RLI web, il servizio telematico dell’Agenzia delle Entrate, funzionante sia su pc che smartphone, dal quale si può compilare il modello RLI Agenzia delle Entrate e versare le imposte dovute per la registrazione del proprio contratto di affitto.

La registrazione presso uno sportello dell’Agenzia delle Entrate o un intermediario abilitato

Presso l’Agenzia delle Entrate, la registrazione del contratto di locazione può essere fatta per mezzo di un intermediario abilitato o recandosi direttamente presso uno degli uffici dell’ente.

Nel caso in cui ci si affidi ad un intermediario o delegato, quest’ultimo è tenuto a rilasciare una dichiarazione, datata e sottoscritta, con la quale si fa carico della registrazione, del pagamento delle imposte relative ai canoni annuali e dell’esecuzione di eventuali cessioni, proroghe e risoluzioni. La delega può essere conferita ad un altro soggetto tramite compilazione di un apposito modulo che va presentato, nelle modalità previste, per ottenere l’abilitazione al servizio telematico Entratel.

Nel caso in cui si preferisca effettuare la registrazione del contratto di locazione presso l’Agenzia delle Entrate tramite sportello, allora sarà doveroso portare con sé tutta una serie di documenti (modello RLI Agenzia delle Entrate compilato, ricevuta di pagamento dell’imposta di registro, ecc), elencati e consultabili nella pagina online dell’ente.

Registrazione contratto di locazione con cedolare secca presso l’Agenzia delle Entrate: cosa sapere

Quando si decide di effettuare la registrazione del contratto di locazione con cedolare secca presso l’Agenzia delle Entrate, le procedure da seguire e le tempistiche da rispettare per l’operazione rimangono invariate. L’unica cosa che cambia per coloro che effettuano presso l’Agenzia delle Entrate, la registrazione del contratto con cedolare secca è l’esonero dal pagamento dell’imposta di registro e di bollo.

Quando, tuttavia, l’opzione non viene esercitata all’inizio, la registrazione segue le regole ordinarie; questo significa che imposta di bollo e di registro son dovute e non possono più essere rimborsate.

Registrazione contratto di locazione con garante presso l’Agenzia delle Entrate: i costi

Il proprietario di casa, per tutelare la sua posizione, può optare per il contratto di locazione con garante, o anche fideiussore del locatore, che interviene nei casi in cui il conduttore non ottemperi ai suoi obblighi. Presso l’Agenzia delle Entrate, la registrazione del contratto di locazione con garante comporta un costo aggiuntivo per il locatore, pari allo 0,5% del canone di affitto, con una somma minima di 200 euro.

Tuttavia, se al contratto di locazione con garante viene applicato il regime della cedolare seccanon sono previste imposte aggiuntive per il proprietario per la registrazione del contratto di locazione presso l’Agenzia delle Entrate. L’opzione cedolare secca, in questi casi, non è utilizzabile da parte di coloro che affittano immobili per l’esercizio di attività di impresa, arti e professioni.

Cosa succede se si effettua la registrazione del contratto di locazione all’Agenzia delle Entrate in ritardo?

Quando la registrazione del contratto di locazione presso l’Agenzia delle Entrate viene effettuata in ritardo, locatore e conduttore incorrono in sanzioni dal punto di vista fiscale e civile. Alla mancata registrazione segue, infatti, la dichiarazione di nullità del contratto. Questa determina la possibilità per il conduttore di richiedere indietro i canoni pagati al locatore.

Per quanto riguarda le sanzioni amministrative, queste variano in base al tempo trascorso dalla data della mancata registrazione del contratto. Secondo quanto previsto dall’art. 69 D.P.R. n.131/1986, l’omessa registrazione del contratto di locazione è punita con una sanzione dal 120% al 240% dell’imposta dovuta con un minimo di 200€, ridotta dal 60% al 120% nei casi in cui il ritardo non superi i 30 giorni. Ciononostante, la sanzione si riduce se si regolarizza la registrazione del contratto di locazione presso l’Agenzia delle Entrate, godendo dell’istituto del ravvedimento operoso.

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Ecco alcune informazioni che potrebbero esserti utili per la registrazione del contratto di locazione presso l’Agenzia delle Entrate.

Come registrare contratto affitto 2023?

È possibile registrare un contratto d’affitto utilizzando i servizi telematici dell’Agenzia delle Entrate. In alternativa, è possibile recarsi presso un ufficio territoriale dell’ente oppure affidare la registrazione ad un intermediario abilitato.

Come registrare un contratto di affitto sul sito dell’Agenzia delle Entrate?

Per registrare un contratto di affitto sul sito dell’Agenzia delle Entrate è possibile utilizzare l’applicazione “RLI web”. In alternativa, è possibile utilizzare il software “Contratti di locazione e affitto immobili (RLI)”.

Quanto costa la registrazione di un contratto di affitto all’Agenzia delle Entrate?

Registrare un contratto di affitto presso l’Agenzia delle Entrate prevede il pagamento di due imposte: imposta di bollo e imposta di registro. L’imposta di bollo è pari a 16 euro e si applica a ciascuna copia del contratto di affitto; l’imposta di registro varia in base al tipo di immobile locato. Se si opta per il regime della cedolare secca, le imposte di registrazione del contratto di locazione non sono dovute.

Quanto tempo ci vuole per registrare un contratto di affitto all’Agenzia delle Entrate?

Una volta effettuata la registrazione del contratto di affitto presso l’Agenzia delle Entrate, prima di ottenere la ricevuta con i dati di registrazione tramite email è necessario attendere circa 48 ore.