mercoledì 19 giugno 2019

Installazione ascensore condominio, delibera invalida senza sicurezza

La sentenza n. 15021 della Cassazione
E’ invalida la delibera assembleare che autorizzi l’installazione dell’ascensore nel condominio che ne sia privo con modalità tecniche che mettano a repentaglio la sicurezza dello stabile. A stabilirlo la Cassazione.
Nel dettaglio, con la sentenza n. 15021 del 31 maggio 2019, la seconda sezione civile della Corte di cassazione ha chiarito che è invalida la delibera assembleare che, pur in presenza di un disabile nella compagine condominiale, autorizzi l’installazione dell’impianto di ascensore nell’edificio che ne sia privo con modalità tecniche che mettano a repentaglio la sicurezza dello stabile.
La Cassazione ha evidenziato come esuli dai poteri dell’assemblea l’approvazione di modifiche delle parti comuni e la realizzazione di impianti capaci di recare pregiudizio alla sicurezza degli edifici.
Ma vediamo la vicenda. Alcuni condomini avevano impugnato la delibera con la quale l’assemblea aveva approvato l’installazione dell’ascensore nel cortile dello stabile comune con le maggioranze agevolate di cui alla legge n. 13/89 sull’abbattimento delle cosiddette barriere architettoniche, poiché fra i condomini vi era un portatore di disabilità fisica.
In primo e in secondo grado l’impugnazione era stata respinta e i giudici di appello avevano giudicato infondato anche l’ulteriore motivo di contestazione relativo al fatto che gli sbarchi dell’impianto conducessero ai mezzanini e non ai piani, rendendo quindi necessario percorrere a piedi un’ulteriore rampa di scale per accedere ai singoli appartamenti. I condomini hanno quindi presentato ricorso in Cassazione.
I giudici di legittimità hanno ritenuto fondati alcuni dei motivi di opposizione alla delibera condominiale sostenuti dai condomini ricorrenti e hanno quindi annullato la sentenza impugnata, rinviando la causa ad altra sezione della Corte di appello. In particolare, la Cassazione ha ritenuto fondata la contestazione relativa al fatto che l’impianto dell’ascensore, nel progetto approvato dall’assemblea, non rispettasse le prescrizioni della normativa antincendio. Come evidenziato nella consulenza tecnica d’ufficio resa nel corso della fase di merito, l’impianto in tal modo realizzato avrebbe messo a rischio la sicurezza dello stabile a causa della mancanza di un sistema di areazione permanente del vano scala.
In merito, i giudici di appello, pur avendo rilevato il problema sollevato dal consulente tecnico d’ufficio, avevano escluso che lo stesso inficiasse la validità della delibera assembleare in quanto tale, sostenendo che sarebbe comunque spettato al condominio porre immediatamente rimedio alla questione in corso d’opera. Invece la Suprema corte ha evidenziato come l’art. 2 della legge n. 13/89, dopo avere stabilito i quorum deliberativi agevolati per le delibere aventi a oggetto innovazioni finalizzate all’abbattimento delle barriere architettoniche, faccia espressamente salvi i limiti imposti dall’art. 1120, comma 2, c.c. (nella formulazione vigente all’epoca dei fatti e, quindi, prima della riforma della disciplina condominiale di cui alla legge n. 220/2012), ovvero la salvaguardia della sicurezza e della stabilità dell’edificio.
Le innovazioni dirette ad agevolare la fruibilità dell’edificio da parte di soggetti diversamente abili, pur essendo state agevolate dal legislatore con la previsione di quorum deliberativi inferiori a quelli previsti dal codice civile per interventi del genere, non possono comunque essere realizzati a scapito della sicurezza e della stabilità dell’immobile condominiale, come ribadito dall’attuale versione dell’art. 1120, ultimo comma, c.c.. La seconda sezione civile della Cassazione ha aggiunto che esula dai poteri dell’assemblea condominiale l’approvazione di modifiche delle parti comuni o la realizzazione di impianti capaci di recare pregiudizio alla sicurezza degli edifici e che eventuali deliberazioni difformi, ove adottate, non possono che essere qualificate come invalide.
E’ stata invece confermata dai giudici di legittimità la valutazione espressa dalla Corte di appello in merito al fatto che gli sbarchi dell’impianto conducessero ai mezzanini e non ai piani, rendendo quindi necessario percorrere a piedi un’ulteriore rampa di scale per accedere ai singoli appartamenti, richiamando un precedente di legittimità del 2013 (sentenza n. 18147), per il quale l’impossibilità di osservare, in ragione delle particolari condizioni dell’edificio, tutte le prescrizioni della normativa speciale diretta al superamento delle barriere architettoniche, non comporta la totale inapplicabilità delle disposizioni di favore, qualora l’intervento produca un risultato conforme alle finalità della predetta legislazione.
E’ stata poi respinta dalla Suprema corte l’ulteriore contestazione relativa al fatto che per l’installazione dell’impianto si fosse deciso di utilizzare il cortile condominiale, nonostante il regolamento prevedesse che lo stesso fosse di utilizzo esclusivo dei condomini impugnanti e vietasse in ogni caso di occuparlo con costruzioni, anche provvisorie. A tal riguardo i giudici di legittimità hanno giudicato corretta la valutazione operata dai giudici di merito, dai quali era stato evidenziato come il medesimo regolamento richiamasse il cortile tra le parti comuni a tutti i condomini, dovendosi pertanto ritenere che la riserva di godimento esclusivo in favore dei predetti condomini non dovesse intendersi come riconoscimento della piena proprietà del bene, incidendo soltanto sul riparto delle correlate facoltà di godimento tra i condomini, disciplinate dal regolamento in deroga a quanto previsto dagli artt. 1102 e 1117 c.c.
In merito al divieto di occupazione del cortile, la Cassazione ha chiarito come in ipotesi del genere l’illegittimità dell’impianto possa configurarsi soltanto alla stregua dei limiti imposti dall’art. 2 della legge n. 13/89 e non in virtù delle ulteriori ed eventuali restrizioni previste dal regolamento condominiale.

Fonte : “Idealista”

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lunedì 17 giugno 2019

Furto in appartamento, qual è la responsabilità del condominio?

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I nostri collaboratori di condominioweb ci spiegano perché, in determinate circostanze, il condominio può essere considerato responsabile dei furti avvenuti negli appartamenti o in un negozio al piano terra.
Se il condominio ha deliberato l'installazione di un sistema di videosorveglianza e questo dovesse essere guasto o non adeguato a prevenire i furti, il condominio può essere ritenuto responsabile per il furto in appartamento o nel negozio al piano terra.
Gli atti conservativi. L'art.1130, n.4) c.c., per come riformulato dalla legge di riforma del condominio - l. n.220/2012 - con il riferimento al potere/dovere dell'amministratore di compiere gli «atti conservativi relativi alle parti comuni» ha ampliato la legittimazione del predetto che può agire per la «mera conservazione delle parti comuni» non solo ove occorra preservare «diritti» del condominio sui beni della comunione.Pertanto nel momento in cui tale potere è inserito nel novero codicistico delle «attribuzioni» (art.1130 c.c.), l'amministratore è legittimato a porre in essere «atti conservativi» anche se è privo della preventiva autorizzazione da parte dell'assemblea condominiale.
Per meglio dire, l'amministratore di condominio ha il compito di provvedere non solo alla gestione delle cose comuni, ma anche alla custodia di esse, con il conseguente obbligo di vigilare affinché non rechino danni a terzi o agli stessi condomini (art. 1130 c.c.).
Attribuzioni, doveri e responsabilità dell’amministratore di condominio
Responsabilità generale da custodia.Si ritiene possibile configurare una responsabilità in proprio dell'amministratore ex art. 2051 c.c.; l'amministratore, infatti, è tenuto, tramite i poteri e doveri di controllo che gli sono imputati dal codice civile e da precise disposizioni di leggi speciali, a impedire che il modo di essere dei beni condominiali provochi danni ai condomini o a terzi.
Sicché, egli si viene a trovare nella posizione di custode rispetto a tali beni e può, pertanto, rispondere di detti danni (Cass. civ., sez. III, 16.10.2008, n. 25251.
La Corte di Cassazione ha ritenuto che il condominio e l'amministratore devono rispondere in solido dei danni occorsi al condomino "in conseguenza dell'inciampo in una insidia all'interno del cortile condominiale).
Da eventuali inadempienze dell'amministratore nei confronti del gruppo dei condomini (ad esempio, omessa riparazione di un bene condominiale) discende dunque una responsabilità dello stesso nei confronti dei condomini e dei terzi che, a causa dell'inadempimento, abbiano subito un danno.
In definitiva, il carattere oggettivo della responsabilità in esame, che prescinde dal dolo o colpa, suggerisce di parlare più correttamente di rischio da custodia (piuttosto che di colpa nella custodia) e di presunzione di responsabilità (piuttosto che di colpa presunta), atteso che, a fronte del danno, il custode negligente ne risponde nella stessa misura del custode perito e prudente (Cass. civ., sez. III, 20.8.2003, n. 12211).
Furto in appartamento: videosorveglianza, portone ingresso e ponteggi. È stato osservato che il condominio può essere ritenuto responsabile del furto in appartamento nel caso in cui l'impianto di videosorveglianza è malfunzionante o non adeguato a proteggere l'edificio da intrusi. Invero, il condominio risponde delle carenze del sistema di videosorveglianza se esse hanno facilitato il furto all'interno dell'edificio.
Oppure, quando il guasto alla serratura del portone d'ingresso del palazzo ha agevolato l'introduzione di intrusi all'interno dell'edificio. I principi in esami sono stati enunciati da Tribunale di Latina del 20.09.2018.
In questo caso, l'amministratore, in quanto responsabile e supervisore di ogni parte dell'edificio condominiale,pur in assenza di segnalazioni da parte dei condomini, è tenuto a far riparare la serratura (in caso contrario, sarà corresponsabile del furto per il fatto di aver agevolato l'intrusione dei ladri nell'edificio).
Ed ancora, nell'ipotesi di furto commesso in danno ad un appartamento condominiale, è chiamata a rispondere ai sensi dell'art. 2043 c.c. l'imprenditore proprietario dei ponteggi per omessa diligenza nell'adozione delle cautele idonee ad impedirne l'uso improprio, unitamente al condominio che risulta responsabile ex art. 2051 per omessa custodia e vigilanza (Cass., Sez. 6 Ordinanza 22 ottobre 2018, n. 26697).
Per meglio dire, nell'ipotesi di furto in appartamento condominiale, commesso con accesso dalle impalcature installate in occasione della ristrutturazione dell'edificio, è configurabile tanto la responsabilità dell'appaltatore ex art. 2043 c.c., per omessa ordinaria diligenza nell'adozione delle cautele atte ad impedire l'uso anomalo dei ponteggi, quanto quella del condominio, sia ex art. 2043 c.c., per culpa in vigilando o in eligendo, allorché risulti che questo abbia omesso di sorvegliare sull'operato dell'impresa appaltatrice, o ne abbia scelta una manifestamente inadeguata per l'esecuzione dell'opera, sia ai sensi dell'art. 2051 c.c., per omessa custodia, cui è obbligato quale soggetto che ha disposto la manutenzione della struttura (Trib. Torre Annunziata, sez. I, 11 giugno 2018, n. 1392).
Furto in portineria. Integra il delitto di cui all'articolo 624-bis del Cp (furto in abitazione), la condotta di colui che commetta il furto nella portineria di un condominio, in quanto la portineria di uno stabile condominiale rientra nell'ambito della tutela dei beni predisposta dal sopra citato articolo 624-bis, in ragione della sua destinazione a privata dimora ed essendo, in ogni caso, incontrovertibile la sua natura pertinenziale sia in riferimento all'unità immobiliare occupata dallo stesso portiere nello stesso stabile condominiale sia, pro quota, in riferimento a tutti gli altri appartamenti dell'anzidetto complesso. (Corte d'Appello Palermo, 13 giugno 2012, n. 2648.
Nel caso di specie, sussiste tale reato perché il furto è avvenuto in un androne condominiale)



Fonte : “ Idealista”
Agenzia Immobiliare Farini
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giovedì 13 giugno 2019



Casa passiva: Cos'è, quanto costa e quanto si risparmia. 



Per molti è “la casa del futuro”, ma la prima Passivhaus venne costruita nel 1991. Permette di abbattere i costi di bolletta del 90% aumentando il comfort. Vediamo come funziona.
Anche in Italia, oramai, la casa passiva inizia a essere una scelta abitativa sempre più frequente. Ovviamente, si tratta ancora di una nicchia che, sostanzialmente, può essere assimilata al segmento delle case prefabbricate. Anche per le Passivhaus, infatti, dopo gli scavi le componenti della casa vengono direttamente portate e montate in loco.

Cos’è una casa passiva

Una casa passiva è un edificio che copre la maggior parte del suo fabbisogno di energia per riscaldamento e raffrescamento interno ricorrendo a dispositivi passivi. Per farlo utilizza una minima fonte energetica di riscaldamento interna all'edificio ovvero senza alcun impianto di riscaldamento tradizionale come caldaia e termosifoni o sistemi analoghi.
È detta "passiva" perché la somma degli apporti passivi di calore dell'irraggiamento solare trasmessi dalle finestre e il calore generato internamente all'edificio da elettrodomestici e dagli occupanti stessi sono quasi sufficienti a compensare le perdite dell'involucro durante la stagione fredda.
La prima Passivehaus venne realizzata nel 1991, progettata dal fisico tedesco Wolfgang Feist e Bo Adamson, ricercatore presso la facoltà di Ingegneria dell’Università di Lund in Svezia. L’approccio rivoluzionario dei due accademici risiedeva, sostanzialmente, nell’unione di diverse componenti:
  • coibentazione adeguata;
  • nessuna dispersione d’aria (niente fori piccoli o grandi in casa);
  • niente ponti termici (il ponte termico non è altro che una zona locale dell'involucro termico, in cui si manifesta una discontinuità tale che il flusso di calore tra l'interno e l'esterno sia differente, quasi sempre maggiore rispetto al resto delle strutture, causando di conseguenza dei punti freddi);
  • adeguate finestre (con triplo vetro);
  • esposizione correttamente orientata (al sole inverno e ombreggiata d’estate);
  • ventilazione meccanica controllata aria pulita senza lasciar uscire il calore.
Feist e Adamson dimostrarono che anche senza caldaia, caminetto e impianti di climatizzazione è comunque possibile riscaldare una casa. Una casa passiva ha bisogno del 90% in meno di energia rispetto a una casa tradizionale.
Per poter essere classificati come Passivhaus, gli edifici devono rispettare alcuni parametri quali:
  • indice energetico di riscaldamento < 15 kWh/m² anno;
  • indice energetico di raffrescamento < 15 kWh/m² anno;
  • indice energetico primario (riscaldamento, raffrescamento, deumidificazione, acqua calda sanitaria, corrente elettrica) < 120 kWh/m² anno;
  • classe comfort ISO 7730 A.

Come funziona una casa passiva

Una casa passiva ha bisogno del 90% in meno di energia rispetto a una casa tradizionale. Si riscalda ottimizzando ogni fonte: calore corporeo, elettrodomestici, lampadine e persino tv.
Ovviamente, questi elementi da soli non bastano. Per rendere efficiente una casa passiva bisogna puntare sugli elementi sopracitati, al fine di non disperdere il calore e conservarlo nella maniera corretta. Il punto da cui partire, quindi, è l’isolamento termico.
Lo spessore del materiale isolante, infatti, è superiore rispetto allo standard delle case tradizionale (circa 30 centimetri contro 8/10), e viene collocato strato più esterno della parete e non internamente come avviene di solito. L’isolante è disposto su tutte le pareti esterne dell’edificio nella loro interezza, senza tralasciare la corretta coibentazione del tetto.
E parlando di spessore, va sottolineata anche l’importanza delle finestre, il vetro deve essere triplo. Inoltre, devono essere grandi, in modo da aumentare la luminosità e di conseguenza il calore prodotto dai raggi solari.
Una casa passiva argina il problema della necessità della circolazione dell’aria con un sistema di ventilazione controllata che, attraverso un motore ad alta efficienza energetica e un dispositivo per lo scambio di calore, permette all’aria in entrata di assorbire fino all’80-90% del calore dell’aria in uscita, prima di circolare all’interno.
La ventilazione controllata serve anche a uniformare la temperatura delle diverse stanze dell’edificio. Recupera il calore dalle stanze dove se ne produce di più (come il bagno, la cucina, e gli ambienti più affollati) per cederlo alle stanze più fredde come le camere da letto e il soggiorno. Allo stesso tempo, permette di ricambiare l’aria viziata.
Ma ogni progetto dipende dalle caratteristiche del territorio dove sorge, alcune sfruttano ad esempio la geotermia, il calore naturale del terreno, attraverso tubature interrate nel giardino o nel cortile che si diramano nell’edificio.
A fare la differenza, spesso, è anche lo studio dell’esposizione solare abbinato all’uso di moderne tecnologie fotovoltaiche. L’ombreggiatura, invece, può essere fatta sia con elementi architettonici, sia grazie alla piantumazione di specie vegetali adeguate, magari alberi che perdono il fogliame in inverno, lasciando passare i raggi del sole quando sono più necessari, salvo poi ricrescere e creare ombra in estate.

Quanto costa e quanto si risparmia

Per quanto riguarda il prezzo chiavi in mano di una casa passiva, non esiste una risposta certa e univoca. Molto, infatti, dipende dalle caratteristiche del territorio e dai materiali necessari per garantire gli standard Passivhaus. Con buona approssimazione, il costo medio si aggira sui 2.000 al mq, circa il 10/20% più cara rispetto a una casa tradizionale.
Le voci che fanno lievitare il prezzo, al netto della progettazione, sono le seguenti:
  • Impianto fotovoltaico e pannelli solari che può costare 10.000 – 15.000 euro;
  • Caldaia a pellet o biomassa da 5.000 – 8.000 euro;
  • Cappotto termico del tetto e delle pareti che può costare in media 50 -70 euro al mq;
  • Utilizzo di Infissi e finestre a doppio o triplo vetro da 400 – 600 euro al mq.
È persino superfluo, invece, parlare del risparmio energetico. Come detto sinora, infatti, una casa passiva consente di avere una bolletta pari a zero, o giù di lì.




Da "Idealista"
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martedì 4 giugno 2019

Casa: in cima alle priorità degli italiani, ma la metà è insoddisfatto

Per il 90% degli italiani la casa è in cima alla lista delle priorità, ma la metà si dice non pienamente o solo parzialmente soddisfatto della propria abitazione. E’ quanto emerso dai risultati di CasaDoxa, l’Osservatorio Nazionale sugli italiani e la casa.
Secondo l’indagine, il legame tra gli italiani e la casa ha radici ben salde ed è sempre più solido: per il 90%, infatti, la casa è in cima alla lista delle priorità. E l’abitazione riveste una molteplicità di significati che vanno ben oltre l’idea di bene fisico dal valore economico. Si parla di “valore esistenziale” della propria casa, percepita come un luogo affettivo e di espressione di chi la abita. Ma quasi la metà degli italiani si dice non pienamente o solo parzialmente soddisfatto della propria casa, riconosciuta come un “contenitore” nel quale vivere che li rappresenta soltanto in parte.
Paola Caniglia, Home & Retail Director di Doxa, ha affermato: “Riprendendo la similitudine di alcuni intervistati, la casa ideale viene oggi percepita come ‘un abito su misura’ che si deve adattare a chi la vive e non viceversa. Le famiglie italiane non vogliono più vivere in ‘abiti’ pensati per altre epoche, occasioni o esigenze. Dal nostro Osservatorio emerge, infatti, un profondo mismatch tra domanda e offerta nel mercato immobiliare, ovvero una generalizzata richiesta di case più moderne ed efficienti a fronte di una proposta immobiliare che comprende per lo più case datate e standardizzate”.

L’Osservatorio Nazionale sugli italiani e la casa ha ascoltato 7.000 famiglie dislocate su tutto il territorio nazionale e si è focalizzato sui nuclei familiari che si sono dichiarati poco o parzialmente soddisfatti dell’abitazione in cui vivono, pari al 48% del totale degli intervistati, per approfondire trend e motivazioni alla base di questo sentiment.
In base a quanto emerso, il 64% dei locatari è insoddisfatto dell’abitazione e, seppur in misura minore, lo è anche il 44% dei proprietari di casa. Chi soffre di più il vivere in case “distanti” dai propri ideali abitativi sono i millennials (52%degli intervistati) e le famiglie con reddito netto mensile inferiore ai 2.000 euro (53%). Ancor di più chi vive in appartamenti (53%), rispetto a chi abita in villette o case indipendenti (43%).
Ma quali sono le motivazioni di tale insoddisfazione? Le ragioni sono da ricondurre ad alcuni elementi specifici. In particolar modo, le caratteristiche strutturali degli edifici (aspetto esteriore, dimensione dell’appartamento, distribuzione degli spazi interni e qualità dei materiali e delle finiture interne). Le percentuali di insoddisfatti sono pari al 50% tra le famiglie che abitano case costruite prima del 1990, e calano significativamente al 18% tra quelle che vivono in edifici nuovi, costruiti dopo il 2015.

Tra le ragioni dell’insoddisfazione c’è anche il nuovo modo di intendere la qualità della vita e del proprio abitare, caratterizzato dalla volontà di vedere riflessi i propri principi circa la sostenibilità anche nelle proprie scelte abitative. Dall’Osservatorio emerge, infatti, come gli italiani vorrebbero vivere in case più efficienti a livello energetico, con conseguente beneficio sia a livello ambientale sia economico, con minori spese di gestione ordinarie e straordinarie. Dall’Osservatorio emerge anche il desiderio di abitare in case intelligenti, ovvero che siano predisposte alla tecnologia per programmare con semplicità alcune attività.

Quando si parla di casa, dunque, gli italiani provano un senso di soddisfazione parziale, che genera un forte desiderio di cambiamento: circa il 25% degli insoddisfatti vorrebbe cambiare casa entro due anni. Si tratta di una volontà che non nasce da una mobilità sociale o geografica, ma dalle caratteristiche deficitarie dell’abitazione in cui si vive attualmente. Il 52% di chi vorrebbe traslocare dichiara che resterebbe con piacere nello stesso quartiere o comunque in zone limitrofe.
Però cambiare è tutt’altro che facile: molti sono gli “scoraggiati”. Circa il 30% di chi vuole trasferirsi abbandona la ricerca dopo i primi mesi di tentativi, per tornare sui propri passi e procrastinare la realizzazione del loro desiderio di cambiamento. Decidono, infatti, di adattarsi e provare a intervenire con piccole o grandi migliorie.
L’indagine ha poi evidenziato che con il nuovo modo di vivere la casa, evolve anche il concetto di spazi confortevoli che, secondo gli intervistati, devono avere sei prerogative: luminosità degli ambienti, comfort termico/acustico, sicurezza, efficienza energetica, tecnologia semplificante, adattabilità.
  • La cucina, grande protagonista: dove calore ed energia sono elementi essenziali. E’ lo spazio dove accogliere la famiglia, e al tempo stesso uno spazio funzionale da attrezzare con elettrodomestici efficienti e di ultima generazione.
  • La zona living: lo spazio polifunzionale per eccellenza che riunisce famiglia e ospiti, dove comodità e trasformabilità sono gli aspetti più rilevanti.
  • I bagni: devono essere evocativi e rilassanti e devono coniugare funzionalità e servizio.
  • Gli spazi esterni: godibili e versatili. Terrazzi, balconi e giardini sono elementi chiave di comfort che diventano simbolicamente quasi una oasi di pace e, nel caso del giardino, driver di scelta nello spostamento dalla città all’hinterland per le famiglie con bambini.
  • Le stanze di appoggio: spazi essenziali da personalizzare e nei quali concentrarsi sul proprio lavoro e dedicarsi alle passioni.
  • Le stanze di servizio: spazi versatili come lavanderie, ripostigli e piccole dispense che diventano spazi importanti per tenere in ordine. Parole chiave: discrezione e funzionalità.  


Da "Idealista" 
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