mercoledì 29 aprile 2020

boom della cedolare secca: chi sono i 2,4 milioni di proprietari che l’hanno scelta

Sembra ieri: correva l’anno 2011 e la cedolare secca sugli affitti raccoglieva le prime 480mila opzioni. Un dato balzato a 2,4 milioni con le ultime dichiarazioni dei redditi, dopo otto anni di aumenti. I numeri dicono che il tasso di crescita sta ormai rallentando (+8% rispetto all’11% di due anni prima), ma la saturazione è fisiologica. Anzi, le adesioni sono già andate oltre le previsioni, se è vero che al debutto della tassa piatta c’erano 2 milioni di locatori privati nel segmento abitativo. Emersione del nero? Allargamento del mercato? Per una ragione o per l’altra – o forse per entrambe – la cedolare continua a essere apprezzata e usata dai contribuenti. E offre un ottimo argomento a quanti la invocano anche per le locazioni commerciali: non solo quelle nuove (come accaduto nel 2019), ma anche quelle già in corso. A partire dagli 810mila negozi locati da privati, e senza dimenticare anche i 171mila uffici e studi professionali.
L’identikit (reddituale) dei locatori. Quasi metà di coloro che nel 2019 hanno scelto la cedolare (il 48,4%) dichiara un reddito fino a 29mila euro, come si vede dai dati pubblicati giovedì 23 aprile dalle Finanze. A questi contribuenti, però, fa capo soltanto il 30,9% dei canoni. Al contrario, i contribuenti con oltre 55mila euro di reddito annuo rappresentano il 17,4% dei beneficiari, ma dichiarano il 35,6% dei canoni. L’utilizzo della tassa piatta, insomma, cresce insieme al reddito, anche perché chi guadagna di più ha avuto più occasioni di accumulare risparmio e investire in immobili. In Val d’Aosta applica la cedolare il 9% dei contribuenti, in Liguria l’8,5%, in Emilia Romagna il 7,6%: sono le tre regioni con la maggior frequenza di beneficiari, probabilmente per l’incidenza relativa del turismo. In Basilicata il minor utilizzo: solo il 2,7 per cento. Il canone medio è quasi identico tra canoni liberi e canoni concordati: 513 euro al mese contro 510. Attenzione, però: si tratta di un dato “per locatore” e non “per casa locata”. La differenza così sottile tra le due tipologie contrattuali, comunque, si spiega con il fatto che i canoni concordati sono più diffusi nelle grandi città, dove il livello degli affitti è comunque più alto che nei centri minori (dove si fa quasi solo il “4+4”).
Gli affitti brevi e la crisi: serve il previsionale. I canoni più alti – 633 euro al mese – sono comunque quelli dichiarati dai sublocatori e dai comodatari che fanno affitti brevi tramite portali online come Airbnb, Booking o altri intermediari. Si tratta però di un dato poco indicativo, perché il grosso dei contratti brevi (quelli fino a 30 giorni) è stipulato direttamente dai proprietari di casa e confluisce nella flat tax del 21% che si applica ai puri “redditi da fabbricato”. Anche la crescita delle opzioni per affitti brevi (+85% tra il 2018 e il 2019) non è determinante, perché sublocatori e comodatari possono optare dal 1° giugno 2017. C’è però un dato che si può prevedere già oggi: lo stop delle locazioni brevi, turistiche, innescato dal lockdown – con cali del fatturato tra il 90 e il 100% da marzo – manderà in difficoltà i locatori chiamati a versare il saldo delle imposte 2019 e gli acconti 2020 parametrati su ricavi che quest’anno saranno irripetibili. L’effetto in dichiarazione dei redditi si vedrà solo nel 2021, ma già dalle prossime scadenze fiscali bisognerà ricalcolare gli acconti con il metodo previsionale.
Il canone concordato corre più del libero. Fin dall’esordio della cedolare il trend di crescita è stato continuo, pur se calante: si è passati dal +58% del 2012 al +8% del 2019. Ma guardando meglio si notano altri dettagli: la flat tax al 10%, quella riservata agli affitti a canone concordato, corre più di quella al 21%, appannaggio degli affitti liberi. Negli ultimi anni la tassa ultrapiatta è stata favorita dalla crisi generale del mercato immobiliare: con il calo degli affitti, e la diffusione degli accordi locali a cui spetta il compito di definire il range del canone “calmierato”, il mix tra contratto concordato e imposta sostituiva al 10% ha guadagnato sempre più convenienza. Non è un caso che dal 2011 il balzo nelle scelte della tassa ultrapiatta sia stato di oltre il 1.100%: da 65mila a quasi 800mila locatori. Un balzo che, a dire il vero, risente anche del valore stesso di questa tassa, che è stata ribassata al 10% a partire dal 2014. E che infatti dal 2013 al 2014 ha visto quasi raddoppiare (+90%) i contribuenti che l’hanno scelta. Eppure, l’appeal del canone calmierato non è ancora scontato. Proprio perché molto dipende dalla “qualità” degli accordi territoriali, ci sono Comuni e zone in cui i proprietari preferiscono il classico contratto libero 4+4 (come a Milano, per esempio, dove secondo il Rapporto Omi 2019 la “partita” sui nuovi contratti si chiude 14 a uno, cioè 34mila a 2.400). Ma i vantaggi del canone concordato risaltano ancor più nei periodi di crisi, come quello che stiamo vivendo: nelle prossime analisi potremo forse leggere ulteriori progressi.
Lo Stato ci guadagna o ci rimette? L’anno scorso lo Stato ha incassato sotto forma di cedolare 2,9 miliardi (fonte: Bollettino delle entrate tributarie). I detrattori della tassa piatta hanno sempre sottolineato che l’Erario avrebbe potuto ricevere molto di più se avesse usato la tassazione ordinaria. E, in effetti, applicando ai canoni dichiarati nel 2019 le aliquote Irpef marginali, si può stimare un introito teorico di 5 miliardi (senza considerare le addizionali locali, l’imposta di registro e il bollo). L’Erario rinuncerebbe, insomma, a oltre 2 miliardi, di cui 1,5 riferibili ai locatori con redditi oltre i 75mila euro l’anno. A queste argomentazioni i sostenitori della flat tax sugli affitti replicano che, senza cedolare, gli incassi per le casse pubbliche sarebbero più bassi di quelli attuali, non più alti, perché tornerebbero a crescere il sommerso e lo sfitto. Anche se si tratta sempre di stime, che la cedolare abbia contribuito a contrastare gli affitti in nero, a ben vedere, lo dice anche il Rapporto ufficiale sull’economia non osservata. Su tutti questi discorsi, però, ora prevale l’emergenza coronavirus. E pare difficile ipotizzare un incremento del prelievo, proprio mentre molti locatori avranno problemi di liquidità, per il prevedibile aumento della morosità – puntuale nei periodi di crisi – e la generale debolezza del Pil.

Articolo visto su "Il Sole 24H " 
Agenzia Immobiliare Farini 
059454227

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