Base imponibile dell’imposta di successione
L’imposta di
successione ha avuto alterne vicende, venendo prima soppressa e poi
reintrodotta. In un primo luogo, l’imposta è disciplinata dal 1991 dal testo
unico di cui al decreto legislativo 346 del 1990. Poi è stata soppressa dalla
legge 383 del 2001 in vigore dal 25 ottobre 2001 e reintrodotta dal decreto
legge 262 2006, in vigore dal 3 ottobre 2006, con la disciplina originaria del
decreto legislativo 346 del 1990 salvo per alcune fattispecie, in particolare
le aliquote e le franchigie.
La
tassazione dipende dal rapporto di parentela esistente tra il de cuius e
l’erede. Nel caso del coniuge e dei parenti in linea retta, che vuol dire sia
discendenti che ascendenti, si applica l’aliquota del 4% sul valore attribuito
che eccede la soglia di 1 milione di euro per ciascun beneficiario. Per i
fratelli e le sorelle invece la franchigia scende a € 100.000 e sale l’aliquota
al 6%. Gli altri parenti del defunto fino al quarto grado, come ad esempio un
cugino, gli affini in linea retta, il genero piuttosto che il suocero, gli
affini in linea collaterale fino al terzo grado, come può essere un cognato,
sono soggetti all’applicazione dell’aliquota del 6% senza alcuna franchigia.
Per i soggetti diversi da quelli sin qui elencati, l’aliquota sale
ulteriormente all’8%: rientrano purtroppo in questa categoria anche i soggetti
conviventi che però non siano coniugati. Infine, nel caso in cui l’erede sia
affetto da una grave disabilità, a prescindere dal rapporto di parentela o
affinità, la norma riconosce comunque una franchigia di € 1.500.000. L’imposta
di successione viene liquidata dall’ufficio competente alla luce dell’ultima
residenza del defunto sulla base della dichiarazione di successione presentata
entro 12 mesi dalla data di apertura della successione, che di regola
corrisponde alla data di morte del contribuente.
Per quanto
riguarda la sua quantificazione, il valore in linea generale è quello corrente
dei beni che compongono l’asse ereditario, ma vi sono delle regole speciali per
alcune tipologie di esse, in particolare per immobili e partecipazioni
societarie. Quindi, a parte il denaro liquido per il quale non vi sono
ovviamente problemi, ad esempio i titoli quotati vanno quantificati sulla base
del valore della quotazione al giorno del decesso.
Per quanto
riguarda gli immobili (in tale ambito non sono compresi i terreni edificabili),
infatti, non si considera il valore di mercato: il valore che concorre alla
quantificazione dell’imponibile viene determinato catastalmente moltiplicando
la rendita rivalutata per i coefficienti di aggiornamento che si rendono
applicabili alle diverse fattispecie. Quindi, partendo dalla rendita catastale
dell’immobile, si applica la rivalutazione utilizzando l’aliquota del 5% per i
fabbricati e del 25% per i redditi dominicali dei terreni.
Il prodotto
così ottenuto deve essere moltiplicato per i coefficienti differenziati a
seconda delle tipologie di beni: 112,50 per i terreni; 42,84 per i fabbricati
di categoria C1 cioè i negozi e quelli del gruppo E; 63 per i fabbricati di
categoria A 10 uffici e del gruppo D opifici; 176,40 per quelli di categoria B;
126 per tutti gli altri fabbricati A e C e quindi in particolare per le
abitazioni. Si applicano anche le imposte ipotecaria e catastale,
rispettivamente con aliquota del 2% e dell’1%, ovvero quella fissa se l’erede
ha i requisiti "prima casa".
Per quanto
riguarda invece le partecipazioni societarie (art. 16 del D.Lgs. 346/1990), il
loro concorso alla base imponibile viene determinato sulla base del patrimonio
netto della società partecipata, naturalmente considerato pro quota in
relazione alla percentuale detenuta nel capitale sociale, così come risultante
dall’ultimo bilancio regolarmente approvato o da un bilancio di verifica più
recente laddove la necessità di effettuare la valutazione avvenga a distanza
dalla chiusura dell’esercizio e sia quindi opportuno basarla su dati
maggiormente aggiornati. Più precisamente, è necessario distinguere in funzione
dei seguenti aspetti:
- (società di persone ed imprese individuali in contabilità ordinaria), si deve aver riguardo ai valori contabili, tenendo conto dei mutamenti sopravvenuti tra la data di chiusura dell’esercizio e quello di apertura della successione (sul punto si veda anche Cass. 4.2.2015, n. 1972);
in assenza
di un bilancio o di un inventario (soggetti in contabilità semplificata) si
deve aver riguardo al valore dei beni e dei diritti che compongono la società o
l’ente, al netto delle passività di cui agli artt. da 21 a 23.
Sandro Cerato
Nessun commento:
Posta un commento