La perizia di stima e il suo potere nelle sorti del credito
(Corte di Cassazione sez. I^ ordinanza 9 maggio 2018 n. 11201 )
Teresio Bosco
Quanto può incidere sull’esito del
giudizio una perizia estimativa fatta bene o fatta male, in seno ad un giudizio
civile o di esecuzione, anche se non commissionata nell’ambito di quella
procedura? E la valutazione, sulla scorta di quali parametri dev’essere fatta?
Ed ancora, è possibile che il valore di un bene immobile costituisca, per dir
così, un dato tecnico, o assiomatico, solo ricavabile per deduzione dalle
caratteristiche costruttive, dalla localizzazione, dalla maggiore o minore
vetustà e stato di conservazione, per menzionare alcuni dei principali
parametri di stima, noti anche ai non addetti ai lavori?
Ebbene, qualche dato
utile per rispondere a simili domande lo si può estrapolare da questa recente
decisione della Corte di Cassazione, la quale in realtà affronta tutt’altro
tema, non privo peraltro di interesse per chi fa stime e valutazioni per le
banche, nel senso che, a proposito dei caratteri qualificanti del mutuo
fondiario e della distinzione rispetto all’ipotecario, ribadisce il proprio,
per certi versi nuovo orientamento del 2017 (id., I^ sentenza 13 luglio 207 n.
17352), ponendo una
netta linea di demarcazione tra le due fattispecie,
che indica in modo chiaro nel “limite di finanziabilità” dell’acquisto, per il
mutuo fondiario, nella misura dell’80% del valore di realizzo, sulla scorta
dell’art. 38 del D.Lgs. 1 settembre 1993 n. 385 (T.U.B.) e della delibera del
Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio (C.I.C.R.) 22 aprile
1995.), per farne discendere che il superamento del detto limite determina la
nullità del contratto (di mutuo fondiario), con una serie di ulteriori
questioni in ordine alla possibilità di procedere alla conversione del
(contratto di) mutuo fondiario dichiarato nullo in un ordinario contratto di
mutuo ipotecario, possibilità che peraltro la Corte non considera affatto
scontata e frutto di un automatismo, secondo le regole poste a presidio del
principio della conversione del contratto nullo in un contratto valido,
emendato del vizio e che possa ritenersi vincolante per le parti che avevano
sottoscritto quello originario, venuto meno per contrarietà a norma pubblica imperativa
(art. 1418 et 14241 Cod. Civ.).
L’ordinanza in esame è a mio avviso interessante non
tanto e non solo per l’argomento affrontato, sebbene sia esso meritevole di
molta attenzione perché la stessa questione, vista dalla parte di chi redige la
perizia, va di pari passo con quella della responsabilità professionale, quanto
perché dalle pieghe della motivazione emerge il ruolo determinante svolto,
giustappunto, dalla perizia estimativa nella qualificazione complessiva della
vicenda, fin dalla fase del giudizio di merito.
La mia sensazione, per quanto può valere, è che si
ponga più che nel passato l’accento anche su “come” viene redatta la perizia,
sui suoi contenuti e su quali dati essa è in grado di fornire, al di là del risultato
finale, di norma costituito da un importo, scritto in fondo e normalmente in
grassetto, al quale viene spontaneo lì per lì rivolgere tutta l’attenzione.
I passaggi essenziali della decisione, per la parte
che vorrei mettere in evidenza in questa sede, sono i seguenti:
a)
L’onere della prova circa l’osservanza dei requisiti
qualificanti il mutuo fondiario, che come noto beneficia di un trattamento di
particolare favore rispetto a quello ordinario ipotecario, sia per l’ente
erogante che per il destinatario, grava sul soggetto che intende avvalersene
(nella fattispecie la banca erogatrice del finanziamento, dovendo insinuarsi
nel passivo del debitore in ragione di un credito derivante da un asserito
mutuo fondiario);
b)
Ha ritenuto il giudice del merito, correttamente
secondo il giudizio della Suprema Corte, che detto onere non fosse stato
adeguatamente soddisfatto stante l’inidoneità della perizia prodotta in
giudizio, siccome priva di data certa (i), perché redatta da un tecnico
incaricato dalla parte e non dalla banca (ii), ultimo perché (iii) avente ad
oggetto il valore venale del bene e non il valore cauzionale, cioè il valore
concretamente ricavabile in via esecutiva;
c)
Se il superamento della soglia di finanziabilità non
fosse sanzionata con la nullità del contratto di mutuo fondiario, ma fosse tale
soglia equiparabile ad una semplice indicazione comportamentale rivolta dalla
legge alle banche, si arriverebbe all’estremo di considerare “fondiario” il mutuo che la
banca si limita ad allegare come tale, o quello provvisto di
una perizia purchessia (id, testualmente);
d)
Il riferimento al valore cauzionale risponde
all’orientamento della giurisprudenza della stessa Corte di Cassazione, secondo
le indicazioni comunitarie (direttiva CE N. 2000/12) e si sostanzia nel
“prudente apprezzamento della futura negoziazione dell’immobile”. La perizia di
stima in questo caso diventa, pertanto, perno dell’assolvimento dell’onere
probatorio, con le conseguenze che ne derivano, anzi che nel caso di specie non
sono derivate, posto che la banca che ha erogato il finanziamento assistito da
mutuo fondiario non è poi stata in grado di offrire prova convincente della
sussistenza dei requisiti di legge. Il fenomeno acquista a maggior ragione peso
nelle procedure di fallimento ed esecuzioni immobiliari, dove spesso capita di
imbattersi in perizie che assomigliano più a degli esercizi di stile che non a
valutazioni plausibili, quando addirittura non sono del tutto avulse dalla
realtà nella quale si inseriscono i beni immobili che ne costituiscono
l’oggetto. In qualche modo, a ragione o torto non saprei, si è sempre creduto
che la stima fosse solo un indicatore, un punto di partenza che avrebbe trovato
un suo naturale equilibrio nelle regole dell’asta, dunque dell’aggiudicazione
al miglior offerente.
La realtà
purtroppo è tutt’altra, ed una perizia sbagliata, o peggio farlocca,
potenzialmente dà vita ad una doppia anomalia, da una parte moltiplicando le
chiamate in asta con costi pesanti in termini di spese processuali e di durata
del procedimento, dall’altra rischiando di infierire sulla parte debole della
procedura, ovvero l’esecutato od il soggetto dichiarato fallito, il quale
spesso versa in condizioni economiche disagiate e non è in grado di affrontare
dei costi per farsi assistere da un legale piuttosto che da un tecnico, anche
quando è consapevole di essere ingiustamente defraudato del valore
dell’immobile. Sono certo di non dire cose nuove, tuttavia mi pare evidente che
ci troviamo di fronte ad una carenza del sistema, o forse ad una necessità di
maggiore controllo che si è resa necessaria per effetto dell’incremento del
numero delle procedure giudiziarie, che potrebbe ad esempio attuarsi
introducendo un procedimento di verifica, al pari di una due diligence
nell’etimo originario indicato da quella funzione, per assicurare
l’attendibilità e correttezza del metodo di stima impiegato e della valutazione
finale, la quale in definitiva non dovrebbe essere soltanto considerata un
interesse relegato nella sfera giuridica delle parti private, ma dovrebbe
rispondere ad un interesse pubblico più generale, a presidio e salvaguardia del
diritto di proprietà, garantito, come noto, come diritto fondamentale dalla
Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, e ad un più generale principio di
giustizia.
Tornando a noi, qualcuno potrebbe voler sapere com’è
andata a finire la vicenda in questo caso. Detto in due parole, e senza
togliere il gusto a chi è più interessato di andarsi a leggere l’ordinanza
della Cassazione, è successo che a fronte della decisione presa dal Tribunale,
nel senso di rigettare la domanda presentata dalla banca, ai fini
dell’ammissione al passivo del fallimento del proprio credito “in via
privilegiata ipotecaria”, sul rilievo del superamento, in sede di erogazione
del mutuo, dei limiti di finanziabilità stabiliti dalla legge, nonché di
rigetto della domanda subordinata di conversione del contratto, e pertanto di
ammissione al passivo del credito da considerare come mutuo ipotecario
ordinario (rigetto dettato però da ragioni processuali e non di merito), la
Corte di Cassazione, cui la banca ha presentato ricorso, ha deciso con
l’ordinanza in commento confermando il Tribunale nella parte concernente la non
riconosciuta qualità di mutuo fondiario, pertanto rendendo definitivo il
provvedimento di rigetto della domanda di insinuazione privilegiata, e
riformando invece la decisione sia nella parte concernente la conversione del
contratto, pur con tutta una serie di paletti e di distinguo, sia infine ed in
ulteriore subordine, nella parte concernente l’ammissione, anch’essa denegata
in prime cure, del credito al chirografo. Su queste basi la questione è stata
rimessa al giudice del merito, che la dovrà pertanto esaminare e decidere nei
due profili residuali, mentre il punto principale, e per quanto ci riguarda
essenziale della vicenda, rimarrà invariato.
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Fonte: “Teresio
Bosco”
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