Se un preliminare
di vendita riguarda un immobile che non può essere più realizzato perché è
decorso il termine per eseguire i lavori autorizzati, il promittente può
recedere dal contratto e ottenere la restituzione delle somme
anticipate. La decadenza della concessione edilizia, infatti, è
assimilabile alla totale assenza di permesso a costruire.
A parlare del recesso dal preliminare nel caso in cui scada il permesso è la sentenza n. 354 del Tribunale di Agrigento dello scorso 29 febbraio. Come evidenziato dal Sole 24 Ore, il caso in questione riguardava un preliminare di compravendita di cosa futura, stipulato nel 2001, con il quale un privato si era obbligato ad acquistare due appartamenti che il promittente venditore si proponeva di costruire su un terreno di sua proprietà.
Il promittente acquirente aveva versato l’intero prezzo e in suo favore era stata prevista la facoltà di ripetere la stessa somma in caso di esercizio del diritto di recesso. Tale facoltà era sospensivamente condizionata al mancato rilascio della concessione da parte del Comune entro cinque anni dalla sottoscrizione dell’accordo.
Nel 2005, quindi quattro anni dopo la stipula del preliminare, il promittente venditore aveva ottenuto il permesso a costruire, ma ancora nel 2014 non aveva completato l’edificio perché, secondo quanto da lui stesso affermato, il titolare di un fondo confinante gli aveva intentato causa per violazione delle norme sulle distanze, ottenendo un provvedimento che aveva sospeso i lavori.
Il promittente acquirente si era così rivolto al tribunale deducendo la nullità del preliminare per illiceità della causa, per via della decadenza del titolo abilitativo all’edificazione. Chiedeva in subordine di dichiararsi il proprio legittimo recesso con condanna della controparte a restituire la somma versata.
Il tribunale ha constatato che, dopo il provvedimento del 2005, erano state rilasciate due varianti, una nel 2006 e un’altra nel 2008, che tuttavia non avevano mutato assetto e destinazione dell’opera. Ha ritenuto perciò che il termine di decadenza doveva comunque decorrere dalla prima concessione.
Il provvedimento del giudice che, su ricorso del confinante, aveva ordinato la sospensione dei lavori era intervenuto nel 2009, cioè a termini già scaduti. Non poteva, dunque, essere invocato come causa di forza maggiore idonea a sospenderne il decorso.
Da ciò, però, non poteva farsi derivare una nullità del contratto perché l’operazione negoziale nel suo complesso originariamente non era volta a conseguire un obiettivo contrario all’ordinamento.
E’ il venire meno della concessione che renderebbe illecita l’eventuale opera edilizia. E per questo, dovendosi equiparare tale situazione a quella del mancato rilascio della concessione, è legittimo il recesso del promittente acquirente e il promittente venditore è obbligato a restituire il prezzo versato.
A parlare del recesso dal preliminare nel caso in cui scada il permesso è la sentenza n. 354 del Tribunale di Agrigento dello scorso 29 febbraio. Come evidenziato dal Sole 24 Ore, il caso in questione riguardava un preliminare di compravendita di cosa futura, stipulato nel 2001, con il quale un privato si era obbligato ad acquistare due appartamenti che il promittente venditore si proponeva di costruire su un terreno di sua proprietà.
Il promittente acquirente aveva versato l’intero prezzo e in suo favore era stata prevista la facoltà di ripetere la stessa somma in caso di esercizio del diritto di recesso. Tale facoltà era sospensivamente condizionata al mancato rilascio della concessione da parte del Comune entro cinque anni dalla sottoscrizione dell’accordo.
Nel 2005, quindi quattro anni dopo la stipula del preliminare, il promittente venditore aveva ottenuto il permesso a costruire, ma ancora nel 2014 non aveva completato l’edificio perché, secondo quanto da lui stesso affermato, il titolare di un fondo confinante gli aveva intentato causa per violazione delle norme sulle distanze, ottenendo un provvedimento che aveva sospeso i lavori.
Il promittente acquirente si era così rivolto al tribunale deducendo la nullità del preliminare per illiceità della causa, per via della decadenza del titolo abilitativo all’edificazione. Chiedeva in subordine di dichiararsi il proprio legittimo recesso con condanna della controparte a restituire la somma versata.
Il tribunale ha constatato che, dopo il provvedimento del 2005, erano state rilasciate due varianti, una nel 2006 e un’altra nel 2008, che tuttavia non avevano mutato assetto e destinazione dell’opera. Ha ritenuto perciò che il termine di decadenza doveva comunque decorrere dalla prima concessione.
Il provvedimento del giudice che, su ricorso del confinante, aveva ordinato la sospensione dei lavori era intervenuto nel 2009, cioè a termini già scaduti. Non poteva, dunque, essere invocato come causa di forza maggiore idonea a sospenderne il decorso.
Da ciò, però, non poteva farsi derivare una nullità del contratto perché l’operazione negoziale nel suo complesso originariamente non era volta a conseguire un obiettivo contrario all’ordinamento.
E’ il venire meno della concessione che renderebbe illecita l’eventuale opera edilizia. E per questo, dovendosi equiparare tale situazione a quella del mancato rilascio della concessione, è legittimo il recesso del promittente acquirente e il promittente venditore è obbligato a restituire il prezzo versato.
da " Idealista"
Agenzia Farini
059 454227
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